Torna Inteatro, quello che era una volta il glorioso «festival di Polverigi», che fu davvero vetrina di grande interesse e di sorprese memorabili dello spettacolo da tutto il mondo. Torna però in una formula rafforzata e razionalizzata, adesso che la regione, con sforzo che per ora appare lodevole, ha unificato sotto la sigla «Marche teatro» tutte le attività nel settore: teatri e produzioni, spazi e loro gestione, festival e programmazioni, prosa e danza. Il tutto sotto la direzione di Velia Papa, che di Inteatro fu inventrice e fondatrice, e che ora coordina il lavoro di diverse equipe.

 

 

Il Festival, che si è concluso da poco, si è articolato in due dense settimane: la prima nella sede storica e collinare di Polverigi, è stata dedicata alla danza, in cui l’ente marchigiano detiene una sua certa supremazia, a cominciare dalla giovane star Alessandro Sciarroni, una delle figure di maggior interesse della new dance italiana; il secondo troncone ha avuto luogo nel centro di Ancona, negli spazi abituali dell’ente, dal teatro delle Muse a quello Sperimentale alla Mole Vanvitelliana. Il nome di maggior richiamo è stato certo quello di Costanza Macras con il suo ultimo spettacolo, Distortion, ma non sono mancate le sorprese avventurandosi, fin dal pomeriggio, nei suggestivi spazi vanvitelliani, dove hanno agito anche i Motus, e i Babilonia Teatro con l’anteprima del loro nuovo Inferno.

 

 

Ma una vera sorpresa, ad esempio, è venuta dal lavoro che una compagnia multilingue di giovani di diverse nazionalità con base a Londra, Mapped Production, ha realizzato a partire dalla Tempesta shakespeariana con Nova Insula. Stralciando via dal capolavoro finale del genio inglese tutte le complicazioni dinastiche riaperte dal maremoto del titolo, e le stesse peripezie amorose della figlia di Prospero Miranda col suo innamorato cui rimane solo il ruolo di scopritore di nuovi territori, il gruppo ha reso protagonisti i due «marginali» servitori del mago, Ariel e Calibano. In sei stazioni che non risparmiano l’uso di tecniche pittoriche o compositive diverse, e tanto meno le tecnologie più aggiornate, aprivano la suggestione del racconto con la facilità seriale di riprese cinematografiche che rendevano «fredda» e «seriale» l’intera storia principale.

 

 

 

 

Ma poi, negli zoom sul servitore mostruoso e sulla aerea stanchezza dell’aiutante di Prospero, scoprivano una umanità che finiva per risultare commovente. Senza essere né leziosi né scontati, i Mapped riescono a individuare una lettura obliqua di un capolavoro notissimo, scopendone possibilità nuove e inaspettate.

 

 

E non meno sorprendente è l’effetto che Lucio Diana, vecchia e apprezzata conoscenza del teatro, suscita immergendo trenta spettatori alla volta dentro la sua Biosphera d’Acqua, una semisfera trasparente in cui avventurarsi tra energie rinnovabili e necessità del risparmio idrico, attraverso narrazioni coinvolgenti e visioni emozionanti.

 

 

Ma la presenza certo più forte dell’intera manifestazione è stata Costanza Macras. Ormai notissima anche in Italia, la danzatrice e coreografa argentina ormai naturalizzata a Berlino, ha dato luogo ad una compagnia unica che ogni volta è un mix di differenti fisicità che pure fanno dell’espressione corporea un linguaggio potente e universale (si è visto da poco da noi uno spettacolo dal sostanzioso innesto gitano). Qui i componenti della sua Dorky Park hanno lavorato assieme a otto esponenti della Hip hop Academy di Amburgo, scambiandosi e ribaltandosi le parti e le tecniche.

 

 

 

 

Quello che ne risulta è non solo un grande piacere della visione, ma anche la possibilità di altre, finora inesplorate, grammatiche e sintassi del linguaggio del corpo. Un’onda irresistibile, che maliziosamente moltiplica (o accenna, o irride) alla stabilità e alla coerenza di ogni posizione, comportamentale innanzitutto, ma che può facilmente trasformarsi in culturale se non politica. Come succede ogni volta che la lucida e consapevole Costanza mette le umane mosse al microscopio della propria «fantasia».