Oggi papa Francesco farà ritorno a Roma, dopo i giorni trascorsi tra Ungheria e Slovacchia, sotto la protezione, come ha detto, di «tanti eroici confessori della fede» che furono vittime di « ostilità e persecuzioni». Fra le tappe più significative ci sono stati i momenti con la Comunità ebraica di Bratislava, la divina Liturgia Bizantina di San Giovanni Crisostomo, nel piazzale del Mestská športová hala a Prešov, l’ incontro con la Comunità Rom, nel quartiere Luník IX a Košice e quello con i giovani allo stadio Lokomotiva a Košice.

NEL CENTRO DELL’EST dell’Europa è come se Francesco avesse tentato di riconciliare la storia con gli errori di una parte della Chiesa, negli anni del nazismo. Denuncia Francesco, «il nome di Dio è stato disonorato; la blasfemia peggiore che gli si può arrecare è quella di usarlo per i propri scopi».
Pesano qui eredità storiche non e ancora totalmente superate. In particolare il Patto di Monaco, del ’38, l’istituzione, con il diktat nazista, di uno Stato slovacco “formalmente” indipendente sotto la presidenza del prelato cattolico, Monsignor Tiso, il quale strinse accordi con i tedeschi per le prime deportazioni, che alla fine coinvolsero circa 100.000 ebrei.

Dalla Chiesa Blu di Bratislava non solo si apprezza l’Art Nouveau, oggi, di Odön Lecher, ma, in un solo monumento, un po’ romanico, un po’ bizantino, un po’ contemporaneo, si riesce a cogliere quanta mescolanza di genti è passata per quella che oggi è la terra di Slovacchia.

RISALENDO IL FIUME della Città Vecchia ci si trova dinanzi al Museo della Cultura Ebraica, dove un tempo c’era una libreria appartenente alla famiglia Zadik, una delle tante travolte dall’Olocausto. La nipote del proprietario, Sarah, mentre Bergoglio attraversa paesi che pian piano cercano di riprendersi economicamente e di buttare alle spalle la miseria della periferia di Bratislava, ricorda che, in quell’ex Bronx dell’Europa dell’Est, il Pontefice sta lasciando semi di accoglienza e moniti sferzanti, chiamando alla riflessione tutto l’Occidente, fin troppo spesso tronfio e immemore.

«Il viaggio di Francesco è denso di simboli, dal pane alla croce e questi son tutti simboli che non dividono, che non emarginano e non rappresentano strumento di pregiudizio. Ma chi non ha compreso, nel discorso alla nostra comunità ebraica, la condanna sia di Tiso sia dei sovranismi, nel dire che la croce non può essere un simbolo politico? E chi non ha notato la dura risposta a Orbán, a Budapest, sulle radici cristiane dell’Europa, da non intendere come chiusura o autoesaltazione dei rigidi confini? Bergoglio – lo dico da ebrea – ha profondamente colto il pericolo che si radica nel cuore dell’Europa e che a Ovest forse non viene colto: il venticello insidioso e persistente dello scandalo dell’antisemitismo. Sembra banale, forse, ricordare di non far prevalere l’odio, ma queste – ricordatelo – sono le terre delle deportazioni, dei respingimenti al posto dell’accoglienza, dell’esaltazione della logica dei muri, dell’economia distorta dall’arricchimento con la fabbricazione delle armi».

L’ULTIMO SONDAGGIO mondiale condotto dall’Anti-Defamation League ha rilevato che gli atteggiamenti antisemiti sono aumentati in modo significativo, almeno dal 2015, nell’Europa centrale e orientale. Sarah ricorda che le poesie dell’ebreo Radnóti convertitosi al cattolicesimo prima del suo assassinio, rappresentano anche la voce dei tempi dell’Europa centro-orientale, da sempre terra di movimenti e migrazioni, ancor più dopo l’inquietudine del dopoguerra. Non è stata una citazione casuale quella di Bergoglio. «Peter Gatrell – commenta Zadik – ha ben definito tutto il periodo delle migrazioni seguite al nazismo, dicendo che, dal 1945 in poi, l’Est ha vissuto un violento tempo di pace, che ha portato rom, ebrei, ma anche cattolici ad andar via. Noi tutti, nella famiglia, volevamo andar via, ricordando che in un solo giorno, poco fuori Bratislava, furono deportate più di mille donne. Un solo giorno! Il giorno in cui andò via mia nonna, da cui avevo imparato a leggere metricamente Saffo. Il dolore della nostra famiglia e dell’intera comunità ebraica slovacca è certamente ben documento dalla storia, ma occorre prestare orecchio anche alla quotidianità, come ha fatto il pontefice argentino.

SULLA VISITA AI ROM di Bratislava Sarah non può e non vuole dimenticare che anche per quelle persone e c’è stata la stessa logica di sterminio. «Anche oggi, qui in Slovacchia, entrando in un edificio della pubblica amministrazione, si avverte subito un senso di fastidio alla sola richiesta di sussidi da parte di una mamma Rom. Non è un problema economico, ma la repulsione verso il nomadismo zingaro, verso quel modo di vivere arcaico che, nel 1956, aveva assurdamente portato il governo cecoslovacco, e poi anche Polonia, Bulgaria e Ungheria, a proibire quel tipo di vita. Francesco, con questo viaggio, ha aperto gli occhi dell’Europa verso le genti senza casa e senza tomba, parafrasando un verso della cultura nomade. Ha chiesto a tutti noi di riservare uno sguardo limpido e laico sulla politica». L’unico di preservare le diverse fedi.