È un libro che invita alla lotta quello scritto da Alexis Nuselovici e pubblicato in edizione italiana da Astarte, Diritto d’esilio. Per una politicizzazione della questione migratoria (pp. 160, euro 15). Si tratta di un testo che afferma oltre che criticare, indicando una strada etica, politica e giuridica da percorrere e che, al tempo stesso, interroga alla radice ciò che è diventata la società europea, pronta a sacrificare decine di migliaia di persone in cambio della normalità, della conservazione dell’ordine esistente, della continuazione della vita come se nulla di grave stesse accadendo al suo interno e ai suoi confini.

IL LIBRO LO RICORDA chiaramente: i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni dicono che «dal 2000 a oggi più di 40mila persone sono morte nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa», aggiungendo la stima di almeno 10mila morti nel Sahara per la stessa ragione. Morti, tutte, evitabili se le politiche delle migrazioni dell’Ue e dei suoi Stati membri fossero state diverse, non avessero individuato nelle persone definite irregolari il loro nemico principale, concedendo i visti per gli ingressi, canali di accesso e transito ordinari sicuri, oltre che modificando radicalmente le politiche di predazione e guerra verso i paesi di origine.

Nuselovici si confronta con una domanda fondamentale per capire la nostra epoca di violenza strutturale contro le emigrazioni e cambiarla, chiedendosi «perché l’opinione pubblica, perfettamente informata sulla drammatica situazione migratoria e sull’inaccettabile numero di morti ai confini, non si indigni con una reazione collettiva ampia e udibile, che si rivolga ai governanti democraticamente eletti che conducono in suo nome politiche ostili all’accoglienza e che, col pretesto del controllo dei flussi di arrivo, calpestano i principi fondamentali della cultura europea».

PER RISPONDERE a questo interrogativo così importante, il professore di letteratura generale e comparata dell’Università di Marsiglia ed ex docente di «Esilio e migrazioni» al College d’etudes mondiales di Parigi fa un parallelo tra tutti i morti tollerati o ignorati nel Mediterraneo e la retata di 13mila persone ebree al Velodromo di Parigi nel 1942: retata avvenuta «nel disinteresse generale del resto della popolazione». L’abitudine all’orrore: è con questo vissuto che le popolazioni europee di oggi si stanno confrontando, lungo una deriva eticamente e politicamente peggiore di quella che si registrò durante il nazismo perché avviene in un contesto democratico e non in un regime totalitario e di paura sistematica. Il testo è organizzato in una premessa, «non solo numeri: dalle morti ai confini a un nuovo vivere-insieme», e tre capitoli: «Esilio o morte», «L’esule non è lo straniero», «Per un diritto d’esilio».

DOPO AVERE CHIARITO i motivi per cui le politiche migratorie rivelano la deriva morale in atto in Europa e le ragioni per cui le migrazioni vanno politicizzate, in quanto movimento politico esse stesse ma anche perché ormai «il diritto alla libertà globale di movimento è diventato, e diventerà sempre di più, il terreno di uno scontro epocale», il libro si muove, nella seconda parte, verso la proposta del diritto d’esilio.

Le persone che migrano, nella dimensione di massa acquisita da questa esperienza, che coinvolge centinaia di milioni di uomini, donne e minori nel mondo, sono degli esuli, vivono una condizione esiliaca, cioè quella condizione umana che assume il punto di vista «di quei soggetti che devono disobbedire ai confini degli Stati per poter vivere». Emigrare o morire: è questa alternativa radicale e strutturale a fondare, nel mondo di oggi, il passaggio dal diritto d’asilo al diritto d’esilio. «La condizione esiliaca riconosce ai soggetti in migrazione il diritto di rivendicare un’identità e una piena titolarità di diritti a prescindere dall’etichetta giuridica assegnata loro dalle istituzioni». È il primato della giustizia e del rispetto delle persone in cerca di libertà e sicurezza ad affermarsi in questa prospettiva: un primato che va oltre il pensiero di Stato che governa le migrazioni, come ci ha insegnato Abdelmalek Sayad, per lasciare spazio al «diritto incondizionato proprio degli esuli».

È QUESTO il capovolgimento etico e politico proposto in questo libro: un capovolgimento necessario che richiede alleanze tra chi emigra e chi vive nelle società europee di immigrazione dentro una lotta comune per l’uguaglianza, che oggi si traduce, prima di tutto, nella lotta per il diritto all’appartenenza all’umanità.