Che l’omicidio di Noemi Durini potesse essere evitato, non sembrano esserci più tanti dubbi. Da chi e in quali circostanze, lo si dovrà stabilire. È anche per questo che ieri, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha avviato degli accertamenti preliminari sulla procura per i minorenni di Lecce sul cui tavolo c’erano le denunce della mamma di Noemi contro il fidanzato della ragazza. La prima commissione del Csm ha chiesto al comitato di Presidenza l’apertura di una pratica sul caso.

Fare chiarezza, per togliersi ogni dubbio, è l’unica strada. Del resto nella giornata di ieri si è venuti a conoscenza di altri due aspetti della vicenda: il primo è che la famiglia del fidanzato aveva denunciato la ragazza per atti persecutori nei confronti del giovane assassino. Denuncia fatta mesi fa e 15-20 giorni dopo quella presentata dalla madre di Noemi, che accusava il ragazzo di lesioni nei confronti della figlia, allegando un referto medico con prognosi di 2-3 giorni per un colpo al volto.

Il secondo dato lo fornisce il sindaco di Specchia, Rocco Pagliara: «Nel giugno scorso il Tribunale per i minorenni di Lecce ha chiesto al servizio di assistenza sociale del Comune una relazione sulla situazione famigliare di Noemi. Sulla base di questa relazione e di valutazioni autonome del Tribunale, i giudici hanno emesso un provvedimento di presa in carico della ragazza da parte dei servizi sociali. Il provvedimento sarebbe arrivato ai servizi il 5-6 settembre», dopo la scomparsa della ragazza il 3 settembre. Probabilmente, la relazione era una conseguenza delle denunce incrociate tra le due famiglie nelle quali c’era – a quanto si apprende – una situazione di disagio che aveva portato i servizi sociali a chiedere al Sert di prendere in carico anche Noemi.

Un fuoco incrociato di denunce che testimonia come il rapporto tormentato tra i due ragazzini fosse altamente osteggiato da entrambe le famiglie. Certo è che in tanti, se non tutti, sapevano la natura del legame tra i due. Le amiche descrivono Noemi una ragazza solare, forte, che amava la danza, innamoratissima di questo ragazzo geloso, possessivo, violento. Che lei stessa giustificava attribuendo le violenze al «troppo amore». Una ragazza esuberante, «pazzeredda» come amava definirla mamma Imma, insegnante di scuola media da anni separata dal marito, amata dai nonni e dalle due sorelle più grandi e dalle cuginette, oggi tutti straziati dal dolore. Tutti sapevano di questo amore tormentato, delle violenze: tutti hanno tentato di dissuaderla dal continuare un rapporto che l’ha portata alla morte. Del quale forse la stessa Noemi aveva iniziato a prendere coscienza, ma da cui non riusciva a staccarsi.

Un ragazzo incontrato per caso una sera di agosto di un anno fa, il migliore amico del precedente fidanzato. Conosciuto dalle forze dell’ordine, in carico presso il Sert, che in tanti oggi definiscono il «bullo del paese», irascibile, sempre pronto alla rissa. Un ragazzo che, per gli psichiatri del Centro di salute mentale di Gagliano del Capo, «certamente non era un agnello»: sono gli stessi che in un paio di occasioni hanno approvato l’accesso per la cura del 17enne. Gli esperti però non forniscono altre informazioni: «Si parla di minorenni e con problemi, non possiamo dire assolutamente nulla», hanno affermato.

Nella struttura protetta dove è stato portato, L.M. viene tenuto sotto stretta osservazione perché si teme possa compiere gesti estremi: alterna infatti momenti di sconforto e pentimento, ad altri di profonda agitazione. L’ennesimo tragico epilogo di una storia allucinante.