L’ex presidente ecuadoriano (2007-17) Rafael Correa e il suo omologo boliviano Evo Morales ( 2005 -19) sono stati esclusi lunedì scorso dalle prossime elezioni, presidenziali in Ecuador e politiche in Bolivia, da sentenze di Tribunali evidentemente dettate da ragioni politiche.

Entrambi erano stati esponenti di caratura internazionale del Socialismo del XXI secolo, teorizzato da Hugo Chavez. Entrambi avevano rimesso in piedi – economicamente e socialmente- i rispettivi paesi.

Correa aveva lasciato la sua carica con una sorta di staffetta col suo vice, Lenin Moreno, che però poi ha attuato una svolta politica allineandosi alle destre latinoamericane e al neoliberismo predicato dagli Usa. Morales è stato estromesso con la violenza da una coalizione tra la destra radicale, la polizia e l’esercito patrocinata dagli Stati Uniti e dal loro «ministero delle colonie», l’Organizzazione degli stati d’America (Oea).

Entrambi erano (e rimangono) intenzionati a ritornare protagonisti della lotta al neoliberismo. Morales candidandosi per un posto al Senato per il «suo» partito, il Movimento al socialismo (Mas), che per le prossime elezioni del 18 ottobre i sondaggi danno nettamente in testa (col 47%) nei confronti dell’attuale «presidente di fatto», la golpista Jeanine Áñez . Correa concorreva alle presidenziali del febbraio dell’anno prossimo come vicepresidente, in tandem con Andrés Araúz, alla guida della coalizione Unión por la Esperanza, anche lui con buone prospettive visto che Moreno conclude il suo mandato raccogliendo un misero 8% di approvazione da parte dei suoi concittadini.

Le due sentenze, simbolicamente concomitanti, eliminando dalla competizione elettorale i leader dei due schieramenti progressisti, si propongono di mantenere al potere un governo di destra allineato a Washington. Il politologo Juan Paz-y-Miño Cepeda definisce queste sentenze un «golpe de Estado anticipado».
Carlos Alberto Figueroa e Octavio Humberto Moreno, due professori dell’Università di Puebla (Messico), nel loro libro- Golpismo e neogolpismo en América Latina. Violencia y conflicto político en el siglo veintiuno– diversificano il golpismo del secolo passato (ben 87 colpi di Stato in America del Sud e nel Caribe) nella stragrande maggioranza attuato da militari di destra sostenuti- specie dopo 1960- da Washington, dai colpi di Stato di questo secolo (7).

Questi, «hanno cercato di evitare la forma militare più cruda» (e screditata) facendo «intervenire istituzioni giuridiche e parlamentari» per simulare una «continuità democratica, nonostante la rottura dei patti costituzionali e istituzionali». Insomma, caratteristica dei neogolpes è l’uso di due meccanismi che «si sono dimostrati tremendamente efficaci contro i governi proressisti»: il lawfare, o «guerra giuridica» e l’uso dei media più influenti (ma anche le reti sociali) disponibili «a porsi al servizio della lotta ai «populismi» e «progressismi», per difendere gli interessi dei governi persecutori, delle élite imprenditoriali, del capitale transnazionale».

Questi meccanismi hanno funzionato a perfezione in Brasile contro Inácio Lula da Silva, Dilma Roussef e il Pt, ma anche in Bolivia contro Evo Morales e il Mas e in Ecuador contro Rafael Correa. In Argentina, solo la vittoria lo scorso anno di Alberto Fernández alle presidenziali , in coppia con Cristina Fernández, ha bloccato il lawfare contro Cristina e il «kirchnerismo».

Ma vi è anche un nuovo elemento nel neogolpismo di questo secolo: tutti i colpi di Stato, militari e non, sono stati diretti contro governanti del ciclo progressista latinoamericano: due militari e falliti (Hugo Chavez, Venezuela 2002 e Correa, Ecuador 2010), uno militare riuscito (Zelaya, Honduras 2009); due golpe parlamentari (Lugo, Paraguay 2012 e Roussef, Brasile 2016), uno civil-militare (Morales, Bolivia 2019) e un altro a Haiti nel 2004 contro il presidente Aristide.
Non si è verificato dunque nessun colpo di stato «izquerdista». Il che evidenza un altro fenomeno nuovo: «le sinistre latinoamericane hanno accettato la democrazia come sistema politico e le elezioni come strumento per giungere al potere». Insomma la linea ereditata da Salvador Allende.

Ma, mentre la democrazia istituzionale e rappresentativa «si è convertita in una valore civico e in uno spazio di azione delle sinistre sociali e progressiste», le borghesie e oligarchie latinoamericane, come pure l’imperialismo, non hanno scrupoli a gettare alle ortiche «le proprie norme, legalità, istituzioni o principi costituzionali, utilizzando le nuove forme di colpi di Stato».