Il rapporto globale «Voci dai territori 2: soluzioni trasformatrici alle crisi alimentari sistemiche e globali» (disponibile in inglese, francese e spagnolo sul sito csm4cfs.org), appena pubblicato, è frutto di una nuova consultazione popolare globale condotta dal Csipm, il Meccanismo della società civile e dei popoli indigeni ovvero la più ampia rete internazionale di organizzazioni contadine, indigene e della società civile attive sui sistemi agricoli e sul diritto al cibo. Si sottolinea l’«inadeguatezza delle risposte ufficiali alle molteplici crisi», che non tengono conto delle esperienze e delle soluzioni offerte dalle comunità, in una «realtà che contrasta con le narrative dominanti circa la natura dell’attuale crisi dei prezzi alimentari».

CHE FARE, NEL BREVE PERIODO? Aiuti umanitari compatibili però con il rafforzamento dei sistemi alimentari locali e sostenibili; sostegno alle iniziative comunitarie esistenti e disincentivo alla diffusione degli alimenti industriali ultra-trasformati; agevolazioni per l’accesso agli input produttivi, in primo luogo locali; ristrutturazione e cancellazione dei debiti pubblici e privati; moratoria sull’uso non alimentare di derrate agricole; tassazione di profitti eccessivi e patrimoni.

NEL LUNGO PERIODO, occorrono politiche chiare, con meccanismi multilaterali di governance che comprendano gli attori sociali, per spezzare la dipendenza dall’import rafforzando le economie contadine e il loro accesso ai mercati anche pubblici (fondamentali i governi locali nella dialettica città-campagna). Trasformare i sistemi alimentari con l’agroecologia, garantire l’accesso delle popolazioni alla terra e alle risorse produttive, la protezione dei semi e conoscenze contadine e dei modelli di produzione tradizionali, la partecipazione dei giovani, mettere al bando man mano pesticidi e fertilizzanti pericolosi. Realizzare la sovranità alimentare limitando il potere delle multinazionali e ponendo fine agli accordi di libero scambio e ai trattati dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Regolamentare i prezzi e introdurre strumenti legali per mettere al bando la speculazione finanziaria sulle derrate, oltre a sostenere stock pubblici a protezione delle popolazioni. E mettere fine alle sanzioni economiche che sono un’arma politica e colpiscono tanti paesi.

PROPRIO SUL TEMA DELLE SANZIONI si sono arenati, nei giorni scorsi, i lavori del Comitato per la sicurezza alimentare (Cfs), la piattaforma multilaterale delle Nazioni unite che si riunisce ogni anno presso la Fao. Un caso che farà discutere.

È CENTRATA SULLA VOLATILITÀ dei prezzi agricoli e alimentari sui mercati mondiali un’analisi della Coordination Sud (coordinamento delle Ong francesi di solidarietà internazionale), pubblicata in queste settimane. Dalla metà del 2020 fino alla vigilia dell’operazione russa in Ucraina i prezzi agricoli mondiali erano già aumentati in media del 50%. La volatilità dipende dall’evoluzione dei prezzi dell’energia che influisce sui costi di produzione e di trasporto, e dalla speculazione sui mercati, cresciuta molto dall’inizio del XXI secolo, con 4 aziende che controllano dal 70% al 90% dei volumi scambiati sui mercati fisici. Ha pesato anche l’aumento della domanda da parte della Cina con la sua forte crescita post-Covid, e la ricostituzione del «patrimonio» suinicolo, decimato dalla peste.

COSÌ LA FAME È AUMENTATA: secondo la Fao nel 2021 il numero di persone sottoalimentate era salito a 828 milioni: in costante crescita dal 2019, dopo un decennio di stagnazione, intorno ai 590 milioni.

L’IMPENNATA DEL 2022 è il risultato, secondo l’analisi, di fenomeni speculativi sui mercati fisici e finanziari, con profitti record per i grandi attori commerciali. Vista l’importanza di Ucraina e Russia nelle esportazioni di grano, mais e girasole (insieme coprono rispettivamente il 30%, il 20% e l’80% delle esportazioni mondiali di queste tre derrate), la speculazione è stata resa possibile dal timore di penurie (viste anche iniziali rotture negli approvvigionamenti): i fondi hanno puntato sull’aumento dei prezzi e in questo modo hanno contribuito a produrlo.

MA L’AUMENTO DEI PREZZI, secondo le Ong francesi, non è da imputarsi a un deficit produttivo o a una penuria globale: la produzione mondiale ha continuato a crescere e i livelli di stock mondiali appaiono abbastanza costanti. La fame e l’insicurezza derivano dall’ineguale ripartizione delle risorse produttive, dei redditi e delle disponibilità alimentari, senza dimenticare che una parte importante della produzione agricola primaria viene sprecata o destinata agli allevamenti intensivi e al settore agrocarburanti.

COME SI COMBATTE ALLORA la volatilità dei prezzi agricoli e alimentari, del resto sperimentata anche negli anni 2007-2008 e 2010-2011 e che pregiudica soprattutto i paesi strutturalmente deficitari, come Nordafrica e Medioriente? Secondo l’analisi, sui mercati nazionali occorre da un lato contrastare la speculazione sui mercati finanziari agricoli e dall’altro ridurre progressivamente la dipendenza dai mercati mondiali, ri-localizzando i sistemi alimentari. Questo implica offrire agli agricoltori prezzi sufficientemente remunerativi e stabili affinché possano sviluppare la produzione.

A LIVELLO NAZIONALE E MONDIALE, gli stock di riserva, se potenziati e gestiti in modo trasparente, permettono sia di affrontare le emergenze (stock di emergenza) che di regolare i mercati nel tempo (stock regolatori).

CON IL SOSTEGNO ALL’AGRICOLTURA contadina, poi, i paesi del Sud possono limitare l’esodo rurale, l’espansione della povertà nelle città, i conflitti interni e la dipendenza strutturale dai mercati mondiali. E la trasformazione agroecologica dei modi di produzione, con la rilocalizzazione produttiva in un quadro regionale, può limitare i rischi legati alla dipendenza dai mercati mondiali dell’energia e dei fertilizzanti, anch’essi molto volatili. Ma gli accordi di libero scambio sono una barriera da superare. Come l’abolizione dei sostegni pubblici agli agrocarburanti di prima generazione.