Michael Fakhri è relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto al cibo dal primo maggio 2020; è professore universitario alla University of Oregon School of Law e si prende cura del suo giardino perché vorrebbe fare anche un po’ il contadino.

Come relatore speciale si è trovato in una posizione unica: partecipare al UN Food System Summit, come voce critica, ed essere invitato alla mobilitazione della società civile «Food System 4 People».

È interessante notare come entrambe queste manifestazioni siano frutto di un processo interno alle Nazioni Unite. La contro-mobilitazione è nata in seno al Meccanismo della società civile e dei popoli indigeni (CSM), un soggetto autonomo ma parte del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale delle Nazioni Unite. Il Food System Summit, d’altro canto, è stata un’iniziativa del Segretario Generale, del suo ufficio e della sua rete. Due eventi, nati in seno all’Onu, su traiettorie completamente diverse.

Ovvero?

Il Food System Summit è stato concepito da esperti, molti dei quali vicini alle grandi aziende del settore alimentare, e da scienziati che non rappresentano in alcun modo i saperi tradizionali e indigeni. Questo gruppo ha dato forma alle idee e poi le ha presentate ai governi e alla società civile. La contro-mobilitazione, all’opposto, è nata dalle relazioni, dalle alleanze, dalla solidarietà. La comunità ha dato vita alle idee da portare avanti.

I diritti umani sono stati inseriti nell’agenda solo molto tardi, come si è svolto questo processo?

Sono stato coinvolto nei lavori del Summit un anno e mezzo fa. Ci è voluto quasi un anno solo per spiegare l’importanza dei diritti umani! Un anno per vederli inseriti nell’agenda. Grazie alla pressione, interna ed esterna, ci siamo riusciti. Purtroppo, però, sono entrati a gara cominciata, un anno più tardi. Il problema rimane. Vengono considerati una scelta tra le tante, da prendere in considerazione o meno. Solo durante il Pre-summit, per la prima volta, abbiamo parlato a fondo del significato dei diritti umani nel contesto del sistema alimentare. Ma ormai è tardissimo.

Non è stato così per l’iniziativa della società civile e dei popoli indigeni. I diritti umani sono stati considerati fondanti sin dal principio. La base da cui partire. Cosa c’è in ballo nel UN Food System Summit?

Ha a che fare con i soldi e con il futuro della governance. Governi, investitori, enti di beneficenza vogliono sapere dove dirigere i loro fondi per cambiare il sistema alimentare. Il Food System Summit è stato pensato per dare ai governi e alle aziende un piano di allocazione delle risorse.

Il summit ha il potenziale di influenzare quale tipo di ricerca e quali conoscenze verranno sviluppate in futuro. Investire nella digitalizzazione o nell’agroecologia? Investire nei processi comunitari o in nuove app per agricoltori? La vera sfida è creare un piano in grado di fare da cornice ad ogni sistema alimentare e che, al tempo stesso, tenga in considerazione il fatto che siamo ecologicamente interconnessi gli uni agli altri. In ballo, poi, c’è la gestione dei fondi e delle regole del gioco: chi le decide? Chi deve essere al tavolo? Chi organizza il tavolo?Quali sono le prospettive del sistema alimentare?

La mia maggiore preoccupazione è che, per via del Covid e della crisi alimentare, non solo assistiamo ad un aumento della fame e della malnutrizione ma anche a una violenza crescente che attraversa tutto il sistema alimentare. La violenza familiare, contro le ragazze e le donne, le violenze contro i difensori dei diritti umani, le violenze contro le comunità che stanno perdendo la loro terra, l’incremento di conflitti all’interno degli stati e tra stati. Queste sono le sfide che dovremmo affrontare e che il Summit non prende in considerazione.

Scorrendo il programma del Summit emergono nomi di multinazionali dell’attuale sistema alimentare accusate di violazione dei diritti umani o di danni ambientali…

La leadership che sta dietro al Summit crede che le corporation siano parte della soluzione. Non si tratta di semplici imprese ma di grandi multinazionali. La verità è che le corporation sono parte del problema. Com’è possibile che siano state invitate, se sono parte del problema? Quando ho posto questa domanda ad una parte della leadership del vertice la loro risposta è stata: «Anche i governi sono parte del problema e dobbiamo lavorare con loro». In sostanza: meglio non farsi domande sulle cause della crisi alimentare e sui responsabili, lavoriamo con le strutture di potere esistenti. Ma non si possono mettere sullo stesso piano le corporation e i governi! Fame e malnutrizione sono certamente causate da fallimenti politici, ma la differenza è che i governi devono fare i conti con la popolazione mentre le corporation perseguono il profitto. Le multinazionali dovrebbero, per lo meno, essere messe davanti alle loro colpe. I governi sono parte del problema, è vero, ma devono essere parte della soluzione.

Anche l’agroecologia è entrata nell’agenda…

È stata una lotta. In una lettera alla dottoressa Agnes Kalibata (Inviata speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il 2021 Food System Summit, ndr) ho sottolineato come l’agroecologia sia la base per garantire alle persone il diritto al cibo e il rispetto dei diritti umani. All’inizio ho incontrato una forte resistenza. Ci è voluto un grande lavoro di advocacy e di pressione. Il fatto che l’agroecologia sia stata inserita nell’agenda è un segno del successo raggiunto. Adesso tutti adorano l’agroecologia. Ora la lotta è mostrarne il significato nel contesto del sistema alimentare. La sua forza è non considerare separatamente ecologia e giustizia sociale. Il modo in cui trattiamo la terra, l’acqua e il nostro ambiente riflette come ci trattiamo l’un l’altro, e viceversa. Se sfruttiamo i lavoratori, siamo portati a sfruttare gli animali nel nostro sistema alimentare; se sfruttiamo gli animali siamo portati a sfruttare la terra, se estraiamo risorse dal suolo estrarremo benessere dalle comunità.

Con questo vertice si è consumata una rottura interna alle Nazioni Unite. È un precedente preoccupante?

In un certo senso potrebbe essere un precedente pericoloso per i prossimi summit e per tutto il sistema delle nazioni unite. È la paura che tutti hanno. Se torniamo indietro nel tempo, però, vediamo anche che il dibattito è servito a far progredire il diritto al cibo. Nel 1996, in occasione del World Food Summit, per la prima volta, la società civile ebbe uno spazio autonomo di discussione. Quell’occasione di autonomia diede uno slancio internazionale alla sovranità alimentare e al diritto al cibo.

Sovranità alimentare, diritto alle sementi ed economia femminista sono alcuni dei temi affrontati nel contro-vertice, assenti nel Summit. Concorda con la loro importanza?

Assolutamente sì. Penso che la sovranità alimentare sia un’idea dinamica che mette in evidenza il tema del controllo nei sistemi alimentari. Chi detiene gli elementi centrali, come i semi? Chi controlla la terra, l’acqua, le risorse e il lavoro delle persone? Sono domande fondamentali. I movimenti per la sovranità alimentare sostengono che chiunque sia essenziale nel nostro sistema alimentare, chiunque produca ciò che mangiamo dovrebbe averne il controllo. E quando si parla di economia femminista è in sostanza l’economia della cura: dobbiamo prenderci cura di noi stessi, della Terra. È quello che anche il Covid ci ha insegnato.

Quali saranno le prossime priorità come Special Rapporteur?

Il prossimo rapporto che presenterò all’Assemblea Generale Onu e al Consiglio per i diritti umani sarà proprio sul Food System Summit e sul sistema alimentare, in generale. I successivi saranno sui diritti dei contadini, semi e proprietà intellettuale, violenze conflitti e crisi. Dovrei fare delle visite sul campo ma per via del Covid non è ancora possibile e non so quando lo sarà. Ho ancora due anni davanti a me ma non so se rinnoverò il mandato per altri tre, perché è molto difficile rivestire questo ruolo in piena pandemia.