Quando un giornale chiude per fallimento si apre un vuoto per i lettori e un dramma silenzioso nella vita di tanti giornalisti, doppiamente colpiti dalla perdita del lavoro e lasciati soli a pagare di tasca propria i costi di onerose querele per diffamazione. Risarcimenti dei quali, da che stampa è stampa, si fanno carico gli editori, a cui spetterebbe comunque pagare il grosso della somma dovuta. Ma se l’editore fallisce, tutto ricade sulle spalle del giornalista e del direttore.

Oggi, il caso scoppia per i colleghi de l’Unità, in cassa integrazione dal primo agosto 2014, da quando la Nie, la società editrice tra i cui azionisti siede anche il Pd, ha dichiarato fallimento. In questi mesi c’è chi tra i redattori de l’Unità, si è visto pignorare la casa in cui vive o ha ricevuto ingiunzioni di pagamento da infarto. All’ex direttrice Concita De Gregorio è arrivato un bollettino da capogiro: 400 mila euro.

Fnsi e giornalisti denunciano il vuoto legislativo che brucia drammi personali e rappresenta un attentato alla libertà di stampa. Il Parlamento potrebbe intervenire emendando il ddl sulla diffamazione. E il Pd potrebbe con responsabilità politica mettere mano al portafoglio.

Però in tempi di crisi e di tagli populisti al fondo pubblico per l’editoria, chi pensa al dramma dei giornalisti di decine di testate locali e di cooperative editrici fatte morire in questi anni? Non tutti hanno la fortuna di una comunità di lettori come quella del manifesto che nel 2012 salvò il nostro Luca Fazio, allora in cassa integrazione come tutti noi, condannato a pagare una provvisionale per una causa, poi vinta, intentata dal Pdl Riccardo De Corato.

Dal giorno della liquidazione del vecchio manifesto, anche su di noi stanno piovendo ingiunzioni di pagamento, mentre siamo impegnati a tornare padroni della testata oggi in liquidazione. Non basta la buona volontà dei lettori. Serve un fondo appropriato per tutelare i diffamati e mettere i giornalisti e la libertà di stampa al riparo dell’arbitrio del momento.