Segno dei tempi, per la prima volta all’apertura di un Consiglio europeo è invitato il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. Era dal 2008, che i 28 non discutevano di difesa. Lo hanno fatto ieri pomeriggio, su iniziativa della Francia, che dopo l’intervento in Mali è ora impegnata in una nuova iniziativa militare in Centrafrica. L’operazione Serval in Mali e Sagaris in Centrafrica costano care (e per di più il Rafale non si vende: dopo anni di trattative, il Brasile ha scelto il Gripen, il caccia low cost della svedese Saab). Parigi vorrebbe la creazione di un “fondo permanente” della Ue per finanziare le operazioni militari esterne, in nome del fatto che la Francia con i suoi interventi “difende” i partner dalla minaccia alla sicurezza europea. Ma, a parte qualche appoggio logistico (Belgio, Germania), la Francia si scontra con un netto rifiuto britannico, che non vuole saperne di politica di sicurezza e di difesa comuni (malgrado gli impegni che Tony Blair aveva preso a Saint Malo anni fa), con le reticenze dei nordici e con l’indifferenza dei nuovi membri dell’est.

La Ue, comunque, sottolinea di aver versato 50 milioni di euro per la Misca (la missione africana in Centrafrica), oltre a 39 milioni di aiuti umanitari (18,5 milioni sono stati approvati lunedì scorso, alla riunione dei ministri degli esteri Ue). Bruxelles insiste soprattutto sul rafforzamento delle capacità dell’industria della difesa in Europa, proponendo una convergenza degli standard di costruzione degli armamenti, con l’obiettivo di ridurre attraverso il coordinamento la sovrapacità di produzione che colpisce questo settore. Al massimo, i 28 sono d’accordo su una migliore articolazione degli sforzi nella difesa, senza uscire dalle istanze esistenti. Oggi, molti paesi producono armamenti incompatibili gli uni con gli altri, che rispondono a standard differenti. Il risultato è un’industria militare europea che si indebolisce da sola, per mancanza di strategia comune (per esempio, la Ue produce 12 tipi diversi di fregate). Per il momento non esiste un mercato interno Ue degli armamenti, ogni stato è di fatto protezionista, la Francia e la Gran Bretagna sono i mercati più chiusi, mentre alcuni paesi preferiscono comprare armi made in Usa. La Francia insiste per attivare l’articolo 49 dei Trattati, mai utilizzato finora, che permette agli stati membri di finanziare operazioni realizzate da gruppi di stati. Ma né Serval né Sangaris rientrano in questo quadro, anche perché secondo Bruxelles la Francia non ha chiesto niente a nessuno prima di intervenire e i Trattati prevedono una decisione all’unanimità del Consiglio. Sulla carta esiste una forza europea di reazione rapida, i battle groups (oggi diretta dalla Gran Bretagna), che pero’ non è mai stata utilizzata e non lo sarà neppure per venire in aiuto a Serval o Sangaris. Parigi ha chiesto ieri che entro marzo venga definita una Road Map sul ricorso all’articolo 49.

In mancanza della partecipazione dei partner alle operazioni militari, la Francia avrebbe voluto che le spese per la difesa, considerate per “difendere” la Ue, potessero venire dedotte dal calcolo dei deficit. Qui arriva il “nein” tedesco, che teme che si aprano voragini, con ogni stato che chiede esenzioni, perché no sulle spese sociali, per la scuola, per il rinnovamento energetico o per il controllo delle frontiere esterne ecc.

A cena i 28 hanno affrontato temi economici. In particolare, la delicata questione, propugnata dalla Germania, dei “contratti” che gli stati devono firmare, impegnandosi nelle “riforme” (cioè nel rigore) in cambio di aiuti. I paesi del sud sperano che il nuovo governo tedesco sia più aperto, per evitare l’effetto recessivo delle riforme di austerità. Ma su questo fronte non ci saranno risultati concreti, almeno fino a dopo le elezioni europee.

Sul tavolo del Consiglio c’è anche il dramma delle migrazioni, acuito dalle immagini delle umiliazioni a cui sono sottoposti gli immigrati a Lampedusa. L’Italia è sul banco degli accusati, anche se tutti hanno cattiva coscienza: in realtà, l’obiettivo di alcuni stati, Gran Bretagna e Francia in testa, è di evitare che Romania e Bulgaria entrino nello spazio Schengen a gennaio.