La questione del negazionismo ha preso in Italia una piega singolare. Ha prevalso infatti un indubbio ottimismo e si è pensato che i negazionisti fossero quattro folli o quattro ignoranti, facilmente emarginabili. Ecco perché i singoli episodi sono stati letti come spiacevoli incidenti, dovuti in gran parte a disinformazione.
Come ricorda nel suo intervento Roberto Della Seta, sono stati gli storici – appartenenti a correnti diverse – a prendere l’iniziativa contro la legge. Che ne sarebbe allora della libertà d’opinione?

Ma chi nega non ignora. E il negazionismo non può essere accettato come un orpello della cultura contemporanea. Perché la negazione non è un’opinione, ma è piuttosto una dichiarazione politica. I negazionisti non sono ricercatori che hanno di mira la verità, non praticano lo scetticismo metodico per arrivare alla certezza. Al contrario, sono armati di convinzioni. Nel mio libro li ho chiamati «dobermann del pensiero»: chini crudamente sull’osso che non smettono di rodere, si attaccano al brandello di una prova, per respingere il tutto. Non sapremo mai la cifra esatta dei morti. Ma cambia per questo l’entità del crimine?

Ogni argomento diventa nelle loro mani un mezzo per raggiungere il fine: negare l’innegabile delle camere a gas. È venuto allora il momento di riconoscere che il negazionismo è un totalitarismo del pensiero perseguito in una salda continuità con il totalitarismo del passato.
Non deve sfuggire la complicità tra l’annientamento di ieri e la negazione di oggi. I primi negazionisti sono stati i nazisti stessi che molto presto hanno cancellato le tracce dei crimini facendo saltare, nel 1945, le camere a gas e i crematori.

Chi nega oggi si pone nel solco di Hitler e intende perseguire la politica di annientamento. Negare l’esistenza delle camere a gas significa insinuare che Hitler non abbia raggiunto la meta, che quel progetto di rimodellamento biopolitico del mondo, che prevedeva l’annientamento di ebrei, zingari, omosessuali, disabili, dissidenti, “diversi”, non sia stato ancora realizzato. Significa assumerne la necessità nel domani. E la questione è molto più grave e attuale di quanto si creda: perché si tratterebbe dell’idea di scegliere con chi coabitare il pianeta. Sta qui l’eredità dell’hitlerismo.

Tutto questo va indagato molto di più; per capire non solo il passato, ma anche e soprattutto il futuro. Sarebbe però una terribile ingenuità credere che il dibattito vada affidato solo agli storici.
La questione è politica e riguarda tutti. Chi nega, attentando alla nostra memoria, vuole minare il fondamento da cui, sulle ceneri di Auschwitz, sono sorte le democrazie europee, vuole sopprimere le condizioni per un dialogo democratico.

Ai negazionisti, agli hitleriani di seconda, terza generazione, non può essere concesso spazio pubblico – nel senso in cui lo intende Arendt. La libertà d’espressione va difesa, ma non astrattamente. Non è naufragato ad Auschwitz quel liberalismo astratto privo di senso etico e di spessore politico? D’altronde basta riprendere le pagine con cui Spinoza, attento a salvaguardare il giudizio da un potere che altrimenti diventerebbe violento, indica il limite oltre il quale l’espressione, che a tutti gli effetti un agire, mina il fondamento della repubblica.
In Germania la legge ha arginato il fenomeno impedendo la condivisione dello spazio pubblico nelle scuole, nelle università, sulla stampa, nella rete. I negazionisti sono presenti infatti attraverso un’enorme quantità di siti, blog, profili privati sui social network, di cui si servono per la loro propaganda. Non esitano a esibire con scherno quel che resta dei cadaveri dei bambini. C’è molta differenza tra uno di questi siti e un sito pedopornografico?

La Shoah è stato il risultato estremo di una politica del crimine che non è passata e superata. I negazionisti hanno tratto profitto da una politica nazionalistica che, soprattutto nell’ultimo ventennio, ha parlato di “espulsioni” e “rimpatri”, che ha il gusto per il marchio e lo statuto speciale, che punta l’indice contro l’immigrato e lo straniero. L’hitlerismo intellettuale, in tutte le sue forme, non è stato sconfitto. È per questo che nella Shoah devono essere scrutate le possibilità occulte e inquietanti che la modernità sarebbe ancora in grado di riservare.