«Quando non ci sarò più, non smettete di mettere i miei dischi», diceva. Gliene sono bastati tre, per scardinare le barriere del rock e fissare il nuovo linguaggio della chitarra elettrica. Inattaccabile l’artista, vituperato l’uomo, modalità tanto cara allo show-business in cui «leggenda» è eufemismo di bugia.

Sorte comune a tanti, particolarmente impietosa per James Marshall Hendrix, scomparso il 18 settembre del 1970. Non che siano mancate del tutto, in questi anni, le istanze di verità storica, rivendicate soprattutto dalla pagina scritta. Scarsa, al contrario, l’attenzione cinematografica se si eccettuano il parziale Jimi: All Is By My Side (2014) e il film tv The Last 24 Hours (2004), mentre per il 20 novembre è annunciato il nuovo documentario Music, Money, Madness… Jimi Hendrix in Maui (SonyMusic), con le sue esibizioni in Maui del 1970 oltre a filmati inediti, e l’album Live in Maui.

UN ANNIVERSARIO strano, questo, con l’abituale mietitura discografica che cede il passo all’inchiostro. A ripercorrere l’epilogo di quella vicenda, tra gli altri, Enzo Gentile e Roberto Crema con The story of life. Gli ultimi giorni di Jimi Hendrix (Baldini&Castoldi), notevole già dalla prefazione di Leon Hendrix. «Jimi è stato ucciso da una macchina infernale» scrive il fratello del musicista, indicando anche gli assassini: «i manager avidi con le pretese di tour estenuanti, i giornalisti assillanti, l’opinione pubblica, i fans e le groupies che non gli davano tregua, i debiti contratti per gli Studios e le cause legali».

Lontano dall’abusato complottismo, il libro si basa su documenti ufficiali e fonti attentamente verificate: «Interviste, stralci di articoli giornalistici di quelle settimane, testimonianze tratte dall’archivio di Roberto Crema», rivela Gentile. Un’accuratezza agli antipodi rispetto alla mediocrità di chi nel 1968 aveva accolto in Italia il mancino di Seattle con titoli quali «Il negro che suona la chitarra con i denti» e «Pazze per il mostro».

«A DIFFERENZA dei libri precedenti questo è un lavoro sull’uomo più che sul musicista», continua Gentile, sottolineando i passaggi quasi diaristici che restituiscono una quotidianità oltre la ribalta: «Le serate al cinema, lo shopping a Londra, l’ultimo invito a cena da parte di due ammiratori incontrati per strada».

CONVIVONO, in quegli ultimi giorni, l’artista al pieno della forma e l’uomo stremato. La gioia per i suoi Electric Lady Studios e l’angoscia per i relativi debiti che lo costringono, braccato dai manager, a ritmi lavorativi massacranti. Il bisogno di riposo e solitudine, la voglia di imparare a comporre sul pentagramma. L’avversione — insospettabile per i più — per le droghe pesanti, avvalorata anche dai referti autoptici che non rilevano alcun segno di tossicodipendenza.

Cosa che non impedirà ai media di erigere da subito il totem dell’artista maledetto ucciso dai suoi vizi (se non suicida). «Jimi era stato vestito di broccato di seta verde e aveva l’aria tranquilla e pacifica, quasi come se stesse dormendo o pensando con gli occhi chiusi al suo prossimo progetto musicale», ricorda Leon. «È così che mi piace immaginarlo a distanza di cinquant’anni».