Infinito è il pantheon induista, complesso, macchinoso e romanzesco nei suoi sviluppi, tra guerre leggendarie, amori epici, mutamenti di campo, nuove generazioni di dèi che soppiantano i precedenti, animali totemici, saggi guru e discipline yoga viste come via alla conoscenza.

Infiniti sono i percorsi narrativi che si sono alimentati di questi mistici personaggi, fino a giungere alle epopee Marvel, che dal 2012 hanno proposto un supereroe dal bizzarro nome Chakra The Invincible. A poca distanza dalla recente e attesa uscita presso Mimesis del monumentale Ramayana (a cura di Carlo Della Casa, Vincenzina Mazzarino e Saverio Sani) Diego Manzi riassume con precisione e brio narrativo questa complessa trama religiosa e culturale nel suo Incanto Le divinità dell’India (Le Lettere, pp. 406, € 28,00).

Il titolo traduce il termine sanscrito rasa, che come primo significato indica la linfa o il succo delle piante, ma anche la quintessenza di una persona o di un oggetto.

Tema del volume è l’analisi approfondita di quello che l’autore chiama monoteismo polimorfo: «i miti indiani, in buona sostanza, ci invitano a vedere l’Uno dappertutto», laddove decade il principio di non contraddizione, basilare per la cultura occidentale, mentre a Oriente tutte le epoche e i personaggi che le rappresentano si manifestano contemporaneamente in una complessa trama, interconnessa, in cui trionfano le declinazioni dello spirito originario. Il percorso prende le mosse dai Ṛgveda Samhitā, la raccolta degli inni, che hanno come protagonisti le molteplici divinità, presentate sempre come variazione su una stessa materia: «il reale è uno, che i saggi chiamano in vari nomi».