Economia

Dieci anni di crisi in Italia, il paese del rancore

Dieci anni di crisi in Italia, il paese del rancore

Ricerca Censis/Conad Stiamo invece vivendo il rovescio di quello che ormai è definito l’«imprenditore di se stesso». Dietro questa figura cresciuta in una cultura dell’accumulazione permanente emergono le «passioni tristi» che si sono consolidate in un paese che sente la frustrazione dovuta al fatto di non essere «produttivo» come dovrebbe. E, per questo, diventa «rancoroso»

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 27 settembre 2018

Sette italiani su dieci hanno nostalgia del passato: per loro «si stava meglio prima». Questa tensione retrospettiva impedisce di guardare al futuro. Le ragioni sono tante, sostiene la ricerca «Miti del rancore, miti per la crescita: verso un immaginario collettivo per lo sviluppo» realizzata dal Censis, in collaborazione con Conad. «Siamo interessati ad approfondire le relazioni tra le persone e il loro impatto sui consumi» sostiene l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese.

Dalla bassa natalità (dal 1951 a oggi si sono persi 5,7 milioni di giovani), alla progressiva scarsità di reddito (rispetto alla media della popolazione, le famiglie giovani, con meno di 35 anni, hanno un reddito più basso del 15% e una ricchezza inferiore del 41%). L’analisi è fondata sullo studio delle passioni predominanti nell’epoca della «retrotopia»: rancore, chiusura e repressione sono gli effetti delle diseguaglianze sociali che sono aumentate nel corso di una crisi decennale che ha eroso i fondamenti di una società basata sul consumo e sull’idea che il futuro coincida con la capacità del soggetto di fare un investimento economico su di sé. Stiamo invece vivendo il rovescio di quello che ormai è definito l’«imprenditore di se stesso». Dietro questa figura cresciuta in una cultura dell’accumulazione permanente emergono le «passioni tristi» che si sono consolidate in un paese che sente la frustrazione dovuta al fatto di non essere «produttivo» come dovrebbe. E, per questo, diventa «rancoroso».

«Malanimo, fastidio per gli altri, soprattutto se diversi, e tante paure: ecco l’immaginario collettivo degli italiani oggi, in cui ogni sfida è percepita come una minaccia, mai come una opportunità» sostiene il direttore generale del Censis Massimiliano Valeri. Così nascono i «pregiudizi» rispetto a ciò che la ricerca definisce «diverso»: 7 italiani interpellati su 10 si sono detti «contrari» al matrimonio con una persona più vecchia di almeno 20 anni o dello stesso sesso, oltre che a quello con persone di differente religione, in particolare islamica. Quattro su 10 non vedono di buon occhio l’unione con immigrati, asiatici o africani. Il 95% degli interpellati immagina che per fare strada occorra conoscere le persone giuste, oppure provenire da una famiglia agiata (l’88%) o avere fortuna (il 93%). è la realtà di una società classista e diseguale dove la ricerca del lavoro è affidata nella maggioranza dei casi alle relazioni sociali o a quelle familiari.

Il rimbalzo di una crescita fondata sui contratti a termine ha prodotto una situazione peculiare: gli italiani dispongono di una liquidità totale pari a 911 miliardi di euro, cresciuta di 110 miliardi tra il 2015 e il 2017 e pari al valore di un’economia che, nella graduatoria del Pil dell’Eurozona post-Brexit si collocherebbe dopo Germania, Francia e Spagna. Risorse che restano immobilizzate, anche per timore di un futuro troppo simile all’eterno presente di un paese incerto, e senza scampo. Una situazione che trova riscontro nell’incidenza degli investimenti sul Pil, scesa al 17,2%, distante dalla media europea (21,1%), da Francia (23,5%), Germania (20,1%) e Spagna (21,1%)

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