Come il presidente del Consiglio Conte, anche i ministri Di Maio e Toninelli hanno offerto la loro testimonianza per aiutare Salvini a non essere processato a Catania per il sequestro dei naufraghi della Diciotti. Si tratta della annunciata co-assunzione della responsabilità politica dell’accaduto. Il documento dei ministri era atteso, dopo che nei giorni scorsi si era saputo che non ci sarebbe stata una sola lettera del governo; la divisione già dice qualcosa delle difficoltà dei 5 Stelle. La novità di ieri è che la lettera dei due ministri grillini non è indirizzata a Salvini, come quella di Conte, che l’accompagna con due righe in cui spiega all’«illustre ministro e caro Matteo» che gliela offre per la difesa in giunta. Che sia stata la solita imperizia, o più probabilmente la difficoltà di schierarsi da subito e formalmente nel collegio di difesa del collega, Di Maio e Toninelli nell’intestazione della loro lettera si rivolgono direttamente alla giunta. Errore, come ha fatto notare subito il senatore di Leu Grasso, perché l’unico autorizzato a depositare memorie è Salvini. Per venire fuori dal pasticcio deve tagliare corto il presidente della giunta Gasparri, al quale il ministro dell’interno ormai si affida. Tutte le lettere, quella del presidente del Consiglio e quelle dei ministri, vengono considerate come documenti allegati alla memoria di Salvini. E così vengono ammesse.

Sono due pezzi importanti della difesa del ministro dell’interno. Tesa a spiegare alla giunta che «non si era in presenza di una mera personale iniziativa del ministro, bensì di un’iniziativa dello stato italiano (Governo) conforme a una precedente prassi che si è consolidata a livello di consuetudine». In questa fase Salvini non nega, anzi ammette tranquillamente, di aver tenuto bloccati a bordo i migranti, bambini compresi, per fare pressioni sui partner europei perché accettassero di accoglierne una quota. La condotta che secondo il tribunale dei ministri di Catania configura il reato di sequestro di persona. Ma spiega che si è trattato di una scelta condivisa da tutto il governo e dunque di una scelta politica. Il che ne farebbe – automaticamente – una atto politico indirizzato al perseguimento di «un interesse costituzionalmente rilevante» (che sarebbe «la concreta attuazione degli obblighi internazionali da parte di tutti i membri dell’Unione europea») e di «un preminente interesse pubblico» (il controllo delle frontiere). Sono appunto le due sole ipotesi nelle quali la legge prevede che il parlamento possa negare l’autorizzazione a procedere.

Nelle lettere del presidente del Consiglio e dei suoi ministri si batte sullo stesso tasto: non far scendere i migranti, e cioè rifiutare la formale individuazione del porto sicuro (anche quando la nave Diciotti era in banchina) è stata una decisione del governo intero. Diversi gli accenti – più partecipata la lettera di Conte, più fredda quella dei 5 Stelle – identica la sostanza. Che però non può arrivare a definire «collegiale» la decisione, visto che non si è tenuto alcun Consiglio dei ministri per prenderla. Si tratta di una condivisione successiva alle decisioni di Salvini. E come tale anche un po’ rischiosa per Conte e gli altri. Visto che, come proprio ieri ha spiegato il presidente della Corte costituzionale Lattanzi, «un reato può essere commesso da una sola persona o da più persone, da un solo ministro o da più ministri». Motivo per cui adesso Grasso chiede che queste chiamate di correità vengano trasmesse al tribunale di Catania.
Gasparri presenterà la sua relazione mercoledì prossimo. all’inizio della settimana successiva ci sarà il voto in giunta. Con i commissari 5 Stelle a questo punto prontissimi a votare in favore di Salvini, malgrado la ventina di senatori che si sono espressi per mandarlo a processo. Per il capogruppo M5S in giunta Giarrusso la questione è addirittura già chiusa: «Non ci sono ortodossi e garantisti, ma chi è in linea con il movimento e chi dissente».