Torna in campo Alessandro Di Battista, in collegamento dal Guatemala, per sostenere le ragioni fondative del Movimento 5 Stelle contro il protagonismo del leader leghista Matteo Salvini. «Fa comodo a qualcuno descrivere noi del M5S come quattro sfigatelli che si fanno dettare l’agenda da Salvini. Ora non ci possono ignorare perché siamo al governo, quindi ci descrivono come subalterni» afferma rispondendo alle domande di Lilli Gruber, davanti alle telecamere di Otto e Mezzo.

LE PAROLE PIÙ CHIARE arrivano a proposito della sentenza sui fondi della Lega: «Devono restituire i 49 milioni di euro fino all’ultimo centesimo – scandisce Di Battista – Se fossi un militante della Lega chiederei la restituzione di ogni singolo centesimo perché sono soldi miei. Le sentenze si rispettano, quindi restituiscano il maltolto, punto». Salvini sta cercando una soluzione. L’altro giorno pareva disposto al muro contro muro con la magistratura, ma la notizia di ieri è che gli avvocati della Lega avrebbero sondato la disponibilità della procura di Genova per una rateizzazione delle restituzioni. Una soluzione che garantirebbe agibilità politica al partito e che contemporaneamente salverebbe il principio dettato dalla sentenza di primo grado: i soldi devono essere restituiti.

Per Di Battista il suo amico Luigi Di Maio non è altrettanto netto perché meno incline, per carattere, alla polemica. In realtà, ci sono almeno tre ordini di ragioni che impediscono a Di Maio di esprimersi in maniera forte e battere i pugni sul tavolo gialloverde. La prima è che lui e i suoi fedelissimi hanno scelto di giocarsi la carta del governo e sanno che questa partita è nei fatti incompatibile con le dichiarazioni di principio del M5S delle origini. La seconda ragione riguarda la natura del consenso che il governo gialloverde riscuote: al di là delle differenze tra Lega e 5 Stelle su questioni non secondarie e al di là persino del travaso di voti dai grillini ai leghisti che certificherebbero gli ultimi sondaggi, c’è una fetta sostanziosa di opinione pubblica che sostiene questo esecutivo in maniera trasversale. È un pezzo di paese che esprime un idem sentire, una cultura e linguaggi che mescolano in maniera indistinguibile le appartenenze ai due partiti. Di Maio e Salvini lo sanno, glielo dicono quotidianamente le nutrite compagini di comunicatori che li affiancano, e non possono ignorarlo.

INFINE, LA TERZA RAGIONE che affievolisce i dubbi dei grillini è grossa come la coalizione di centrodestra. Si chiama Silvio Berlusconi. Salvini ha un piano B. E se la maggioranza dovesse vacillare non è detto che qualcuno dei 5S non lo seguirebbe verso un nuovo esecutivo.

Ecco allora che, dall’altra parte dell’Oceano, Di Battista cerca di riequilibrare le sorti della concorrenza interna alla maggioranza e di far guadagnare punti ai suoi compagni di partito, stando attento a non forzare il confine del M5S attuale e dell’alleanza di governo: «Se dovessi tornare in prima linea sarei legato indissolubilmente a Luigi: la pensiamo allo stesso modo e insieme funzioniamo bene». Esclude di volersi candidare alle europee, ma esprime un paio di considerazioni. «Le politiche di Orbán» sono esecrabili, ma solo perché «vanno contro gli interessi italiani». E che ne pensa del progetto populista continentale di Steve Bannon? «Non lo conosco – dice l’ex deputato – Ma è uno che ha cervello, ha fatto vincere Trump».

Il suo rientro nell’agone elettorale era stato ipotizzato al fine di arginare la fuga di consensi verso la Lega, che Di Battista considera causata dalla sovraesposizione mediatica: «Penso che Salvini sia pompato dal sistema mediatico in maniera vergognosa», attacca.

POI PERÒ TRANQUILLIZZA i suoi, preoccupati dai sondaggi: «Non si vota domani e non occorre stare in campagna elettorale: ora servono risultati per il popolo italiano». Ma parlando del ddl anticorruzione, e dei dubbi dei leghisti sulla misura proposta dal ministro Bonafede, lancia l’ennesima frecciata: «Credo che Salvini abbia ricevuto una telefonata dal San Raffaele dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri del ddl anticorruzione, gli hanno chiesto di fermarla per far tornare la pressione di Berlusconi a livelli normali… Scherzi a parte, se Salvini ferma l’anticorruzione si sputtana». Lo spettro di Berlusconi aleggia ancora.