Piove sul bagnato? Magari… Diluvia, anzi grandina. Alessandro Di Battista spara a palle incatenate, prima con un’intervista al Foglio nella quale si schiera senza mezze misure con Luigi Di Maio: «Il Movimento deve alzare il tiro su determinati temi. Luigi lo sta facendo e io sono con lui». Poi, a metà giornata, rincara con un lungo post su Fb che suona come un manifesto del ritorno alle origini, al M5S battagliero e di strenua opposizione a tutto campo di un tempo. Nel mirino ci sono «i Matthews», Renzi e Salvini, che su politica economica, privatizzazioni e politica estera la pensano in realtà allo stesso modo. Ma si spara a nuora perché suocera, cioè il Pd, tiri le cuoia. La conclusione del proclama è una chiamata alle armi: «Accelerate». Alla fine Italia viva e Pd si accoderanno perché «se dovessero andare a elezioni adesso prenderebbero meno voti di Calenda e molti perderebbero l’immunità parlamentare».

SUI DUE NODI che arriveranno al pettine nelle prossime settimane e che minacciano di affondare il governo anche prima del veglione, prescrizione e Mes, Dibba è secco. Se il Pd dovesse votare con Fi sulla prescrizione i 5S dovrebbero far cadere il governo, e sul Mes: «Se fossi un eletto voterei contro. Questo accordo rischia di spalancare le porte alla Troika». Certo, sulla carta Di Battista è un semplice militante senza ruolo né responsabilità diretta. «Esprime il suo parere ma poi c’è la realpolitik», chiosa il viceministro 5S Buffagni. Solo che non è vero. Al contrario, Di Battista è forse oggi il leader più vicino alla base e se Di Maio da solo è debole la coppia, all’interno del M5S, è più o meno imbattibile.

ANCHE SE LE REPLICHE scarseggiano, quasi solo il capogruppo Pd al Senato Marcucci segnala che se la linea è quella di Dibba non si può andare avanti, il messaggio arriva lo stesso forte e chiaro. Indica due pericoli reali a breve. Sulla prescrizione un eventuale voto del Pd a favore del ddl Costa, che di fatto cancella la riforma, avrebbe l’effetto di una bomba nucleare. In realtà il Pd sembra già preparare la ritirata: «Bisogna solo ascoltarsi che è la cosa più bella che si possa fare fra alleati. Accanto alla prescrizione bisogna garantire i tempi certi e brevi del processo. Se si ottiene non facciamo nessun problema», assicura Zingaretti. È la formula a cui lavora Marcucci. Una bella dichiarazione d’intenti con l’impegno a intervenire in tempi brevi sulla durata dei processo, e poi i 5 Stelle avranno la loro legge contro la prescrizione.

SUL MES DI MAIO, dopo aver incassato il sostegno dei parlamentari, insiste: «Siamo tutti d’accordo sul fatto che debba essere migliorato. Col dialogo, perché non vogliamo creare problemi al governo». Lunedì nell’aula di Montecitorio Conte riferirà. Si scaglierà contro Salvini che, pur non essendo deputato, troverà modo di rispondere per le rime. Minacce e sfide a duello legale si ripeteranno ma il governo non rischierà perché quella di Conte è solo un’informativa e dunque non si voterà niente. Poi, il 4 dicembre, il premier italiano chiederà all’Eurogruppo di rinviare il voto finale sul Trattato. Se otterrà la grazia, pardon il rinvio, il problema sarà per il momento superato. Se invece i 18 punteranno i piedi, il 10 dicembre, al Senato, sarà impossibile evitare mozioni, voti e scelte chiare.
Ma anche se, come è probabile, il governo brinderà al nuovo anno ancora in sella, i guai resteranno identici. L’offensiva di Di Maio e Di Battista si è moltiplicata in potenza di fuoco proprio dopo l’incontro tra il ministro degli Esteri e Grillo che avrebbe dovuto siglare, nei sogni del Pd, l’inversione di marcia. E rende impossibile puntare su quell’alleanza politica e strategica senza la quale questo governo è appeso nel vuoto, tenuto insieme solo dallo spauracchio di Salvini.

NEL PD SI VA DIFFONDENDO la convinzione che la rinata coppia di dioscuri miri ormai a far saltare il banco su uno dei temi identitari dei 5S, come ad esempio la prescrizione, per andare alle urne nella condizione meno svantaggiosa e magari prima che entri in vigore la riforma costituzionale voluta dallo stesso Movimento, in modo da incassare comunque una folta squadra parlamentare. Forse non è così. Forse i due leader stanno solo cercando di restituire al M5S un ruolo non politicamente legato o peggio subalterno al Pd. L’esito cambia di poco: è evidente che una corda già molto logora non può reggere a lungo a strattoni simili.