Chi scrive la raccolta poetica Serie fossile (Crocetti editore, euro 14) parla in prima persona di una storia d’amore rubata dalla profondità della terra e gettata nella materia oscura dell’universo. La scrittura sembra essere per Maria Grazia Calandrone un pretesto, come fosse un appiglio al quale aggrapparsi per dare corpo al suo realismo visionario, o come fosse la scusa necessaria per superare la difficoltà di raccontare «a voce» la propria passione amorosa. Ma è anche il pre-testo, un luogo concettuale dove si sviluppa la sua idea tellurica della passione, preesistente alla forma stessa dell’amore. Già il titolo porta il lettore in un’area remota del tempo e in uno spazio sotterraneo dove si arriva scavando e dove si raccolgono organismi vissuti in altre ere e che, ancora vivi, si sono cristallizzati nella resina indurita dell’ambra.

«Sarebbe riduttivo dire amore», è scritto in una pagina iniziale della raccolta. E infatti, in questo lungo diario di indagine immaginifica e realtà narrativa si parla dell’amore sovrumano, quello che l’amante-autrice del libro vive in congiunzione con la natura, con le sue creature e i suoi fenomeni e dove lo sguardo registra e assimila le trasformazioni del corpo amato. Ma forse anche questo modo di sentire, che va dentro e oltre i sensi, questa disposizione a osservare con paziente inquietudine il fluire della bellezza e del calore umano da un corpo all’altro delle amanti, sono pretesti creativi e insieme creaturali. Il corpo descritto viene evocato, in una sorta di adorante preghiera pagana, come esemplare primigenio della specie, una figura che incarna la completezza della natura femminile e la sua sfuggente realtà.

Serie fossile non è solo un canto d’amore e Maria Grazia Calandrone non ne è soltanto l’autrice. Il libro e la donna che l’ha scritto sono la testimonianza di un’impossibilità a considerare e condividere quella specie di statuto morale che regola i rapporti umani all’interno di una società costituita. Il pianeta abitato dalla donna-poeta si raccoglie in un solo essere che in sé contiene il senso della vita, della morte e della scrittura. Non è un canto solare ma un’ode ctonia che fluisce dalla terra per rendersi evidente alla sua stessa autrice: «Questo caldo umano che si leva da te / è tutto fatto delle mie parole oppure preesisteva e risponde al richiamo?».
Preistoria e preesistenza: in questo passato incalcolabile tutto è già avvenuto e tutto resta nella sua evidenza; sopra ogni altra cosa la parola e la terra «che la imita». Forse, come è stato per Whitman, il vero innamoramento di Maria Grazia Calandrone è per le parole che vengono prima del corpo, prima del fossile, prima della natura, prima che il magma fuoriesca dalla crosta terrestre. Parole di pregnanza ustionante che lasciano un segno nero di scrittura sulla pagina: «io ti sento venire come solitudine / dai pontili che gettano nell’Adriatico / qui dove insiste ogni cosa del mondo / in una pace grande / come un bulbo di prua: pesci guizzanti / sulla pietraia, ruggine dei giardini / autunnali, pieni / di caduta, volti erosi / dalla bellezza e felici secondo giustizia».

Nella parte centrale del libro si apre un mirabile inserto di ragionata consapevolezza (anomalo rispetto alla lunga sequenza di invocazioni e visioni amorose), intitolato «Petizione per il rilascio dell’Alba». È un lucido trattatello sul risveglio del corpo amato che, incapace di aprirsi al desiderio, si è «spento» in una malinconica nostalgia di vita. Uno scritto che graficamente si muove tra prosa e versi e in cui la voce narrante, con una scelta di scrittura antilirica o più semplicemente impoetica, intrisa di fioriture ironiche e con il ritmo espositivo di uno scritto notarile, indica gli eventi «malaugurati» che hanno determinato il richiudersi del corpo dopo una breve apertura e rinascita: «…al corpo su detto mancano aria e luce / ed esso mestamente si va / spegnendo, nuovamente / s’incurva e si scava nel viso».
Nel racconto di questa storia a una sola voce, quando la corrispondenza dell’amata si spegne, lo sguardo dell’amante si sposta dal corpo e dal ricovero oscuro della terra cercando nuovi spazi d’indagine nel cosmo. Non più gli organismi fossili che racchiudono e fissano corpi vivi e amori ma due galassie gemelle che «la forza di gravità di ciascuna nei confronti dell’altra» ha portato a «confondersi in un unico grande fenomeno, in un abbraccio pieno».