È una scrittura ondivaga quella di Piergiorgio Casotti, e Uppa, cronache groenlandesi (Italo Svevo, 2023, pagine 334, 20 euro) un sorprendente libro di scoperta, un diario di viaggio e in soggettiva al presente, iniziato nel 2009 e finito di scrivere dopo dieci anni di ricognizioni nella Groenlandia dell’Est.

L’autore è un fotografo e un viaggiatore, infatti il libro conserva gli aspetti visivi ed epifanici della meraviglia, il senso profondo dell’osservare e del vedere come forma profonda di conoscenza umana, che è da sempre anche la cifra del reportage narrativo. Il demone che lo spinge a fare questa esperienza è la sopraggiunta «paura di morire» che lo coglie dopo la l’improvvisa scomparsa del padre. Siamo in una «terra desolatamente splendida», misteriosa, inospitale, abitata da soli 55 mila Inuit, l’isola più grande del mondo dove l’80 per cento della superficie è ricoperta da ghiaccio perenne, una terra nullius, «che non appartiene a nessuno», contesa tra Danimarca e Norvegia, che l’autore scopre con i sensi scoperti e ci mostra attraverso delle istantanee liriche in bianco e nero che diventano testo, racconto, intrecciandosi e riverberando con le parole.

La scrittura è diretta, naturale, efficacissima, il più delle volte descrive e non cerca mai l’esercizio di stile, serve ad accompagnarci in questi luoghi «lasciati ai margini della cronaca» che il reporter di Reggio Emilia penetra mimetizzandosi nelle comunità, partecipando ai party, ai matrimoni, ai viaggi in auto, perdendosi per le strade ghiacciate, andando a pescare o frequentando i bar e parlando con la gente, vivendo nelle case degli altri e diventando alla fine uno di loro come tutti i narratori empatici, allargando di volta in volta il suo «network artico».

Il titolo non poteva essere più azzeccato perché Uppa vuol dire forse, «la parola più usata a Tasiilaq e la più sottintesa per qualsiasi cosa riguardi la vita di un essere umano in Groenlandia». Nel libro c’è una forte componente di apprendimento della realtà fisica, geografica, l’attrazione fatale per «il freddo, l’isolamento, il silenzio», ma anche quella non meno importante dell’antropologia sociale colta senza psicologismi ma nella sua verità esistenziale, lì dove «ogni anno quasi il 25 per cento dei ragazzi tenta il suicidio. E quasi il 2 per cento ci riesce», il più alto tasso di suicidi giovanili al mondo.

Casotti nei molti viaggi fatti, qui «sintetizzati in sette capitoli- stagioni», come avverte in una nota, scopre che durante le giornate interminabili l’alcol scorre a fiumi a Kulusuk o a Tasiilaq, bere forte diventa l’unica fuga possibile, i rapporti famigliari hanno subito un bing bang, coglie il mal de vivre groenlandese lì dove molti ragazzi pensano al suicidio, o hanno tentato di farsi fuori già molte volte, «per alcuni ragazzi il suicidio è cool, gli amici si ricorderanno di te», come gli spiega Kaale, conosciuto a una festa, uno dei molti che incontra e con i quali parla, mentre Ole gli confessa che sua madre si è suicidata, e anche suo zio, «si è sparato», e pure il cugino, nonostante nei luoghi dove vivono l’incomunicabilità è già di per sé un codice, «il silenzio tra le persone è più simile a un linguaggio che a un’assenza di contenuto», sentenzia.

Il racconto vivente di Piergiorgio Casotti avvince anche quando racconta la quotidianità più assoluta, o quando descrive gli interni delle case, le nature morte negli appartamenti, oppure le tante persone come Peter il pescatore, Michael, Martha che ha una cicatrice sotto l’occhio sinistro perché si è sparata col fucile, o Gerda, che «la si vede girare per il paese alla guida di un vecchio furgoncino Volkswagen rosa anni Sessanta», che ha aperto una libreria a Tasiilaq, la quale gli confessa di vendere pochi libri, contrariamente a quanto forse si aspettasse: «Si vendono principalmente ai danesi che vivono qui e a qualche turista, ma ci sono due libri che i locali hanno comprato. Uno è sull’interpretazione dei sogni e l’altro sulle esperienze di premorte». E Tatzi che all’ufficio di polizia gli rivela: «La vita e la morte hanno un diverso significato qui in Groenlandia. La vita arriva facilmente, la vita se ne va facilmente. La natura prende il sopravvento. Il suicidio è parte della nostra vita e della nostra cultura da centinaia di anni».