È un lungo viaggio leggere La frontiera. Viaggio intorno alla Russia (pp. 671, euro 21, traduzione di Sara Culeddu, Elena Putignano e Alessandra Scali), dell’antropologa norvegese Erika Fatland, autrice del già apprezzato Sovietistan in cui si addentrava nelle repubbliche dell’Asia centrale dopo la caduta dell’impero sovietico, sempre per i tipi di Marsilio (recensito su queste pagine da Simone Pieranni). La frontiera è un libro corposo in cui Fatland percorre ventimila i chilometri lungo il confine russo partendo da Pyongyang e spostandosi verso ovest a bordo dei mezzi più disparati: aerei in Corea, treni ad alta velocità in Cina e treni lumaca in Kazakistan, autobus, minibus, cavalli, taxi, mercantili. E poi il kayak al confine tra Norvegia e Russia, lungo centonovanta sei chilometri, e anche una nave da ricerca sovietica con altri quarantasette passeggeri percorrendo il confine della costa nord della Russia fino a Murmansk.

FIN DALLE PRIME PAGINE il racconto del viaggio si intreccia alla storia e all’economia dei tanti paesi attraversati e, al tempo stesso, alle tragedie dei nostri giorni: dalle epidemie alla catastrofe ecologica. A proposito di malattie, Erika Fatland scrive del ragazzo di dodici anni e delle milleduecento renne morte in Siberia nel 2016 per un’epidemia di antrace nella penisola Jamal: «I batteri si erano conservati nel permafrost e si riattivarono allo sciogliersi dei ghiacci. Chissà quali altri virus e batteri si nascondono nel permafrost che sta per sciogliersi». E aggiunge: «Solo il ramo dei trasporti, l’industria petrolchimica e lo stato russo hanno motivi per rallegrarsi davanti a queste tetre prospettive. L’Artide nasconde probabilmente un buon quinto delle riserve globali di petrolio e gas, che con lo sciogliersi dei ghiacci diventeranno sempre più accessibili».

DI FATTO, «per le autorità russe i drammatici cambiamenti climatici rappresentano una potenziale miniera d’oro. Non solo la Russia potrà accedere più facilmente ai giacimenti di petrolio e di gas naturali nascosti sotto il fondale marino, ma avrà anche il controllo della rotta più breve tra l’Asia e l’Europa del Nord». Dopo la crisi degli anni Novanta, la Russia si è risollevata in Artide. Qui le basi militari, le stazioni meteorologiche e i posti di frontiera sono stati rimessi a nuovo. A farne le spese è stata la natura, e infatti l’autrice scrive non di essersi aspettata tanta spazzatura: «Mai come in Artide ho visto tanti barili di combustibile arrugginiti, migliaia e migliaia di vecchi fusti impilati l’uno sull’altro o sparsi per la tundra, ricordi tangibili degli ambiziosi progetti russi nelle regioni del nord».

PROTAGONISTE di questo diario di viaggio sono le tantissime persone con cui Erika Fatland ha interagito: guide, spie, ristoratori, intellettuali, gente comune, gli altri passeggeri sull’imbarcazione da ricerca sovietica trasformata in nave da crociera per esperti viaggiatori disposti a sborsare oltre ventimila dollari per trascorrere quattro settimane nell’Artico.
La frontiera non è solo un gran bel libro, ma un progetto durato tre anni tra programmazione, il viaggio di 259 giorni, e la stesura del libro. Un progetto finanziato da alcune fondazioni scandinave, da una borsa di studio dell’Associazione norvegese degli scrittori e traduttori di non-fiction, dalla Casa internazionale della letteratura di Bruxelles e dalla fondazione Bergman che hanno messo a disposizione alloggi per soggiorni di scrittura. Elementi, questi, da non sottovalutare: hanno offerto all’autrice la sicurezza economica e la calma necessarie nella quotidianità imprevedibile del lavoro free-lance.