Ieri mattina l’ex ministra Elsa Fornero ha sfruttato sia i microfoni di Radio Cusano Campus che gli studi di Agorà (Raitre) per benedire l’intervento del governo sulle pensioni: «Non modifica la mia riforma. È una flessibilità che anche noi, se non avessimo avuto solo 20 giorni per salvare i conti pubblici avremmo potuto introdurre». Il viceministro dell’Economia Zanetti conferma: «Il nostro intervento non lede in nessuna misura la riforma Fornero».

Quale sarà l’intervento sulle pensioni quando la giostra delle trattative si fermerà è ancora incerto. L’amoroso duetto tra l’ex ministra Fornero e il viceministro attuale dice però forte e chiaro che non sarà un intervento strutturale, né tale da migliorare l’odiosa controriforma varata dal governo Monti. Si tratterà, nella migliore delle ipotesi, di una elargizione simile a quella dei famigerati 80 euro, rivolta ora a una platea che non poté godere di quel grazioso dono e, per quanto riguarda il “riscatto” dell’età minima pensionabile, si tradurrà in una specie di usura di Stato.

Di una mossa del genere però Renzi ha bisogno per due motivi diversi: uno propagandistico, l’altro più sottilmente politico. Il primo parte da un dato di fatto che, pur ampiamente previsto, è stato certificato ieri, quando il ministro Padoan ha annunciato la revisione al ribasso delle stime del Pil per il 2016 e in realtà anche per il 2017. Le conseguenze della revisione sono molteplici: da un lato rende ancor più vitale, ma anche più difficile, la trattativa con la Ue per ottenere un nuovo e più alto margine di flessibilità, che per il governo è ora questione di vita o di morte; dall’altro cancella il miraggio del solo intervento che avrebbe potuto spostare a favore del Sì un’ampia porzione di elettorato: il taglio dell’Irpef.

L’intervento sull’Ires, se come è probabilissimo ci sarà, non risponde alle medesime esigenze. Farà piacere a un certo numero di imprenditori e, se non fosse un regalo in bianco come gli incentivi per il Jobs Act, potrebbe avere effetti positivi sui tempi medio-lunghi. Ma per il referendum costituzionale non sposterà una paglia. Di qui l’importanza di poter almeno sbandierare un intervento sulle pensioni, nella speranza di recuperare così quel consenso che Renzi aveva progettato di conquistare con il preventivato e sfumato taglio dell’Irpef.

La mossa politica è meno rozza. Dopo aver sbarrato la porta a ogni dialogo per anni, intorno alle pensioni Renzi ha riaperto un tavolo di trattativa con la Cgil. L’esito del confronto non è affatto scontato ma l’auspicio è che un’eventuale distensione si rifletta poi sui rapporti interni al Pd. Al momento, infatti, la situazione nel partito di Matteo Renzi è più che drammatica. Le finte aperture del premier sull’Italicum non possono bastare per ricompattare il partito nelle urne referendarie. Una conta del genere, nelle condizioni attuali, renderebbe comunque inevitabile una “notte dei lunghi coltelli” subito dopo la chiusura delle urne. Dal risultato della prova dipenderebbe solo il definire a chi spetti la parte delle Sa fucilate e a chi quella delle Ss fucilatrici.

In tutta evidenza è proprio questa resa dei conti finale che Giorgio Napolitano paventa e che lo ha spinto a esporsi nell’intervista di domenica a Repubblica fino a sponsorizzare il modello di legge elettorale della sinistra Pd. Ma su quel fronte il giovanotto di palazzo Chigi non ha intenzione di dar retta all’alto protettore. Di conseguenza il rischio che il referendum porti in ogni caso all’esplosione del Pd è difficilmente evitabile. Un passaggio distensivo con la Cgil non eliminerebbe la minaccia. Ma almeno la attutirebbe.