Da un treno lanciato verso Ferrara un vecchio prete guarda angosciato il panorama che fugge all’incontrario. Di fronte a lui un giovane osserva paesaggio e vecchio, al quale infine si rivolge:

Giovane: Cosa l’angoscia?
Vecchio: Ho vissuto tutta la vita da cristiano e vado a morire da ateo… Ho capito tardi che il cristianesimo non sta in piedi…
Giovane: Come l’ha capito?
Vecchio: Studiando Copernico: «in mezzo a tutto sta il Sole»…
Giovane: E quindi?
Vecchio: Se la Terra non sta al centro dell’Universo, se è soltanto uno dei pianeti che girano intorno ad una delle centinaia di miliardi di stelle di una delle tante costellazioni… Dio non può aver fatto incarnare e e predicare e morire e risorgere proprio qui suo Figlio…
Giovane: E questo Kopernik l’aveva capito fin dal 1543?
Vecchio: Capito non so, di certo l’ha intuito quando giovane, a Ferrara, ha fatto circolare manoscritta l’operetta Nic. Copernici de hypothesibus motuum caelestium a se constitutis commentariolus – quella che Lutero /
Giovane: / ha letto, definendo poi il «nuovo astronomo» un «pazzo». Lo ricordo bene! Permette che mi presenti? Mikolaj Kopernik.

Vecchio: Ma… non è morto…?
Giovane: Come persona sì. Ma vivo come personaggio, uno dei personaggi dei Dialoghi Impossibili dei quali è autore un suo coetaneo, ateo pure lui… i personaggi non muoiono…
Vecchio: Ah… vero… quando ha intuito le conseguenze implicite nella teoria eliocentrica?
Giovane: Fin dal principio, ma ciò non mi ha angosciato. L’astronomia e la cosmologia e la matematica e la medicina non implicano l’amore della verità?
Vecchio: Ma… non ha fatto anche il prete?
Giovane: Sì. Come un lavoro. Molti preti sono atei…
Vecchio: Io ateo lo sono diventato troppo tardi! Questo mi angoscia!
Giovane: Perché mai? Gesù ci ha insegnato che bisogna «fare la verità». E la natura della verità è di liberare dalle fantasticherie, dalla falsità. In mezzo a tutto sta la verità.
Vecchio: Mhm… Cosa va a fare a Ferrara?
Giovane: A rivedere, in un povero albergo, un amico di gioventù, Ludovico Ariosto. Ricorda? «Spesso in poveri alberghi e in picciol tetti / ne le calamitadi e nei disagi, / meglio s’aggiungon d’amicizia i petti / che fra ricchezze invidïose et agi…»