Luigi Di Maio per la prima volta si sente in bilico. A farlo tremare c’è il dato psicologico e simbolico che pesa di più: il sorpasso del Pd ai danni del Movimento 5 Stelle. Ma la soglia attorno alla quale balla lo stato maggiore riunito a Montecitorio man mano si posiziona sempre più in basso. Prima punta il risultato delle elezioni europee di cinque anni fa: il 21%. «Commentiamo solo dati reali», dicono dalla Sala della Lupa, ammettendo però un certo «sconforto» quando le prime proiezioni fanno scendere l’asticella addirittura al 19%.

Però, è la valutazione alla quale si appiglia Di Maio arrivando alla Camera accompagnato da Alfonso Bonafede, Stefano Buffagni e Laura Castelli, troppo sottile è il confine tra gli scenari possibili e molte sono le variabili che si intrecciano. Dunque bisogna fare un bilancio che si annuncia difficile e che nelle prospettive più estreme investe direttamente la gestione del capo politico.

NEL 2014 GRILLO e Casaleggio, ancora in campo, si immaginavano l’assalto al governo. Invece quel dato del 21% segnò una momentanea battuta d’arresto di fronte alla bolla del Pd renziano. Oggi il fatto di scendere al di sotto dello stesso risultato rappresenta senza sconti le difficoltà del grillismo di governo a fronte di una Lega che doveva vincere e pare stravincere, e questa è una delle condizioni che vengono soppesate dai grillini. Ormai da qualche settimana il M5S e la Lega hanno scelto di marciare divisi e di tornare a segnare un confine netto tra le loro posizioni per massimizzare i risultati elettorali, ciò non è bastato ad invertire la tendenza in atto da mesi. Il consenso all’esecutivo è ancora alto ma con un dettaglio non da poco, visto i rapporti di forza tra i gialloverdi nell’arco di dodici mesi sono praticamente invertiti. Il Movimento 5 Stelle ha perso soprattutto al sud, dove l’affluenza è scesa e dove un anno fa avevano raccolto percentuali impressionanti, vicine alla maggioranza assoluta in alcuni territori e dove si attendevano tutt’altro impatto del reddito di cittadinanza in chiave elettorale.

IL RISULTATO DEL M5S deve poi essere ponderato con i nuovi equilibri continentali, va inserito nella complessa griglia che emerge dal voto in tutta l’Unione europea. Anche in questa ottica, il quadro per Di Maio e i suoi non migliora. Oscillando a tratti in maniera rocambolesca tra i gilet gialli e l’elogio del moderatismo, avevano puntato tutto sul cambiamento del panorama politico: «L’Europa che conosciamo non ci sarà più», diceva Di Luigi Maio da tempo, scommettendo su stravolgimenti attorno ai quali ritagliare per l’Italia margini di bilancio e nuovi spazi di contrattazione. La trama, già debole in partenza, di alleanze europee del M5S enfaticamente annunciata appariva sfrangiata già nella prima serata di ieri, quando si iniziava a capire che i polacchi di Kukiz non avevano superato la soglia di sbarramento.

Non era neanche previsto il piazzamento utile della lista di agricoltori greci che il capo politico grillino aveva presentato come partner. Ce l’hanno fatta i croati del Muro Umano, ma il loro unico seggio di certo non è sufficiente a garantire al M5S un pacchetto di base attorno al quale costruire un proprio gruppo. Significa che per sperare di contare qualcosa a Bruxelles e Strasburgo, bisognerà adattarsi ad uno dei raggruppamenti esistenti, operazione tutt’altro che semplice e già foriera di passaggi a vuoto nell’ultima legislatura. Più in generale, se pure la maggioranza gialloverde in qualche modo dovesse restare in piedi pare difficile che gli eletti grillini possano permettersi di offrire i propri voti all’ipotetica coalizione tra Popolari, Socialisti e Liberali.

La strategia più volte auspicata – diventare «ago della bilancia» dei nuovi equilibri di un’Europa che si preconizzava post-ideologica – fa a pugni con la situazione uscita dalle urne. Anche questa sovrapposizione impossibile tra tattiche nazionali e giochi politici continentali avrà un peso tra i temi destinati nelle prossime settimane a tenere banco dentro ai 5 Stelle.