Quando mancano ormai otto giorni alla riapertura del parlamento Luigi Di Maio lancia un’Opa sulla presidnza della Camera: «Spetta a noi, perché siamo il primo partito con il 32% e undici milioni di voti», scrive in serata su Facebook il leader grillino attento, come ci tiene a sottolineare, a rendere conto agli attivisti, «a parlare con voi», delle trattative dopo la telefonata avuta in serata con Matteo Salvini. Nel toto-nomi dei papabili per la Camera a questo punto prendono quota quelli di Emilio Carelli e Riccardo Fraccaro, mentre per il Senato il più forte resta il leghista Roberto Calderoli. Un accordo Lega-M5S a questo punto sembra più probabile anche per le dichiarazioni convergenti dei due leader, che si sono detti d’accordo su un programma delle presidenze che preveda l’abolizione dei vitalizi e una forte riduzione della spese del parlamento.

In attesa di futuri sviluppi, ieri Di Maio si è lasciato andare a promesse pesanti: «In Germania dopo circa sei mesi è stato formato il nuovo governo. Credo che noi ci metteremo di meno», ha detto parlando alla Confcommercio di Milano. Il giorno prima, rivolgendosi ai giornalisti esteri affinché il Pd intendesse, non mancava di prospettare il ritorno alle urne. Ieri ha rilasciato dichiarazioni di tutt’altro tono. Anche se, precisa, prima del governo «ci sono dei passaggi da fare: il primo è il 23 marzo sulla presidenza delle camere». Proprio sulle cariche istituzionali si muove il primo giro di consultazioni. Salvini lancia messaggi ai suoi alleati e gioca di sponda con le tensioni tra lui e Berlusconi. Nel pomeriggio, telefona a Di Maio. I grillini da tempo dicono di voler parlare con tutti per individuare «figure di garanzia», ma adesso si fa più probabile un’intesa con la Lega. I capigruppo designati del M5s, Giulia Grillo e Danilo Toninelli, incaricati di seguire le trattative, oggi sentieranno le alttre forze politiche alle quali ribadiranno che i presidenti d’aula «devono essere assolutamente slegati da qualsiasi questione di governo». Ma è evidente a loro per primi che un’interlocuzione privilegiata con Salvini avrebbe anche un significato politico, che rimanda allo scenario emerso già dalla scorsa settimana: i due vincitori delle elezioni potrebbero prendere in mano l’avvio della legislatura, scrivere una legge elettorale e giocarsi quello che assomiglierebbe ad un secondo turno alle urne, facendo fuori Forza Italia e Pd.

NELLA SUA GIORNATA milanese Di Maio si è presentato per un paio d’ore anche alla sede della Casaleggio Associati. Oltre al padrone di casa Davide Casaleggio, c’erano due neodeputati interessati alla questione rapporti con la Lega: Gianluigi Paragone, che in virtù dei suoi trascorsi politici è considerato l’uomo della diplomazia coi padani, e Stefano Buffagni, l’ex consigliere regionale lombardo che per conto del «capo politico» si occupa dei rapporti con le imprese del nord. La partita è lunga e complessa, inseguire gli umori di giornata potrebbe essere un errore. Resta un dato: l’ipotesi di un accordo di governo vero e proprio con la Lega è considerata dai grillini estrema.

LO CONFERMANO anche le parole pronunciate da Di Maio due giorni fa su Europa e rifiuto degli «estremismi». D’altronde, l’aspirante premier ha sempre affermato di voler ragionare sui contenuti e non su formule precostituite, il che gli lascerebbe mani libere su accordi e intese. E la sua idea, premiata dalle urne, di collocare il M5S al centro dello schieramento politico sia dal punto di vista strategico che del posizionamento politico giustificherebbe alleanze da entrambi i lati del parlamento. Soprattutto in un partito che non ha mai fatto del dibattito interno il suo punto di forza. L’ostacolo principale è che ci sarebbe da accontentare due basi elettorali complementari e diverse, due Italie differenti. Ma quando Di Maio ribadisce di «non voler lasciare il paese nel caos» chi disegna gli scenari più disinvolti sostiene che le priorità indicate davanti all’uditorio della Confcommercio non paiono lontanissime da quelle della Lega: taglio degli sprechi, riduzione delle tasse e sburocratizzazione. Così, mentre Beppe Grillo rilancia dal suo blog l’idea originaria del reddito di cittadinanza universale e incondizionato, lui attenua di parecchio la prospettiva con un’immagine che accarezza gli affezionati all’etica del lavoro: «Non daremo soldi a chi sta sul divano».

L’ALTRO TASSELLO riguarda le proposte del Documento di economia e finanza. Vengono annunciate dalla deputata Laura Castelli e sembrano dar ragione a chi sostiene che a furia di oscillare tra destra e sinistra, il pendolo grillino si è fermato al centro: riguarderanno il blocco degli aumenti dell’Iva, il taglio degli sprechi e il rilancio degli investimenti. «La nostra proposta è pensata per garantire stabilità e per dare forza alla ripresa – spiega Castelli – Un nuovo aumento dell’Iva avrebbe effetti disastrosi sui consumi. E proporremo anche il rilancio degli investimenti produttivi, in calo da troppi anni, ed una seria riqualificazione della spesa».