Con la Lega, purché metta alla porta Silvio Berlusconi e con lui tutta la sua Forza Italia. Con il Pd, a patto che abbandoni la linea di Matteo Renzi. Alla vigilia del primo giro di consultazioni, che inizierà oggi al Quirinale con l’arrivo dell’ex inquilino Giorgio Napolitano, Luigi Di Maio lancia la sua offerta in tv, ospite a Di Martedì. Fissa il prezzo da pagare, o più precisamente le teste da tagliate «per fare le cose che servono al Paese». Una volta eliminati i due ex premier nulla ostacolerebbe un «contratto di governo con chi ci sta» sul modello di quello che ha sbloccato la situazione in Germania.

È LA PRIMA VOLTA che il leader a cinque stelle scopre le carte così apertamente, anche se la linea la aveva già fatta capire prima di Pasqua. Sul fronte destro è il disegno già pronto prima che il sorpasso a sorpresa della Lega rispetto a Fi rimettesse tutto in discussione: un governo M5S-Lega con il primo arrivato a palazzo Chigi e il secondo a fargli da vice. Non a caso Di Maio ripete che a destra «ci sono in realtà tre partiti». A sinistra, in realtà in subordine, si tratterebbe di fare blocco con un Pd «derenzizzato».

La risposta di Salvini arriva a stretto giro, ancora prima che le parole di Di Maio arrivino davvero ai telespettatori: «Dialogo con M5S ma senza veti né imposizioni. A differenza di M5S noi diciamo che non andremo mai al governo con il Pd, sconfitto dagli elettori». Parole, queste ultime, indirizzate a Fi, che secondo i leghisti mira proprio all’accordo con il Nazareno. Poi il leader del Carroccio anticipa quanto dirà a Mattarella, cioè che «senza accordi chiari non si può escludere il ritorno al voto». Questo, invece, è un messaggio inviato proprio a Di Maio. I 5S sono convinti che la Lega tema il ritorno alle urne e contano su questo per costringere Salvini a scaricare Berlusconi. Il leghista, a sua volta, fa quindi sapere di essere pronto a una nuova sfida elettorale, nella quale buona parte dei voti azzurri finirebbe nei suoi forzieri.

BERLUSCONI, l’Impresentabile, è fuori di sé. «Ma chi si crede di essere quel Di Maio?», sbotta il Cavaliere. «Non accettiamo veti. Devono parlare con me». Ad Arcore la paura che Salvini sia tentato dalla «proposta indecente» del M5S in realtà è forte. La reazione del leader leghista fa tirare solo un mezzo sospiro sollievo. Sul futuro nessuno se la sentirebbe di giurare e il dubbio che il «dialogo» confermato anche ieri dal capo leghista possa sboccare in un accordo che comprenderebbe una parte del partito azzurro tagliando fuori Berlusconi non è dissipato. Il Cavaliere ha comunque rinunciato all’idea di portare al Quirinale, con la delegazione azzurra, Antonio Tajani. La sua presenza doveva servire a intavolare un dialogo con M5S su un nome diverso da quello dei due candidati ufficiali, ma è un miraggio già sfumato.

DAL PD LA RISPOSTA è identica. «Il Pd rimarrà all’opposizione», taglia subito corto il capo dei senatori Marcucci, renziano doc. E il reggente Maurizio Martina twitta: «Caro Luigi Di Maio, noi non ci prestiamo a questi giochetti: chi tenta di dividere il Pd non ci riuscirà».

Alla vigilia dell’inizio delle consultazioni, che a partire dalle 9 vedranno oggi sfilare i presidenti delle camere e i gruppi parlamentari minori mentre domani sarà il momento dei partiti maggiori, il nodo sembra farsi ancora più aggrovigliato per Mattarella. E’ così, ma solo in parte. In questo primo giro il presidente ascolterà le proposte dei gruppi, indicherà esigenze programmatiche ma eviterà di scoprire le carte. Manterrà l’atteggiamento «notarile» necessario per poter giocare un ruolo decisivo nella seconda parte della crisi.

IL CAPO DELLO STATO esclude la possibilità di mandare un presidente del consiglio incaricato allo sbaraglio, alla ricerca dei voti in aula alla cieca. Aspetterà il secondo giro di consultazioni per chiedere ai due aspiranti premier come ciascuno pensi di trovare i voti necessari e mancanti. Doveva essere quello il momento in cui verificare le possibilità di un’intesa tra il Movimento 5 Stelle e la destra, o anche con la sola Lega, opzione numero uno dopo l’elezione dei presidenti delle Camere. Ma è un enigma che dopo la forzatura di Di Maio, potrebbe essere sciolto già nei prossimi giorni.