La strada che porta alla nomina di inviato dell’Ue nel Golfo Persico è ormai spianata per Luigi Di Maio. Il comitato politico e di sicurezza composto dai 27 ambasciatori dell’Unione ha dato, senza obiezioni, il suo beneplacito alla nomina, che adesso dovrà affrontare alcuni passaggi amministrativi prima di finire davanti al Consiglio europeo per la sua definitiva approvazione.

Dall’Italia non è arrivata alcuna obiezione, anche se nella maggioranza che sostiene il governo Meloni i malumori non si contano né si placano. Su tutte le furie c’è soprattutto la Lega, che nei giorni scorsi aveva bollato l’ex ministro degli Esteri come «inadeguato», «del campo politico avverso». E dopo il primo sì europeo a Di Maio il tiro leghista si è alzato ancora: «È una grave mancanza di rispetto verso gli elettori italiani, che ne hanno sonoramente bocciato l’operato, verso il governo che non lo sostiene e verso tanti bravi diplomatici che avrebbero avuto le carte in regola per ambire al ruolo». La promessa è di portare la questione al parlamento europeo, anche se difficilmente questa iniziativa sortirà qualche tipo di risultato.

Dalla Farnesina, del resto, Tajani ha già provveduto a stemperare le polemiche con una dichiarazione di circostanza che, tuttavia, lascia intendere chiaramente che nessuno si metterà a fare le barricate: «Non ho pronunciato una parola contro, ho detto solo che Di Maio non è il candidato del governo italiano, è stata una sua autocandidatura quando era ministro degli Esteri, poi l’Alto rappresentante Borrell ha deciso di nominare lui: è una sua scelta. Doveva fare chiarezza e spiegare che non è una candidatura del governo italiano». Persino un arcinemico come Carlo Calenda, alla fine, è sceso dalle barricate: «Se passiamo da Tony Blair a Di Maio, il Medio Oriente lo vedo male. Ma non sto a stracciarmi le vesti per questo».

Parole feroci, invece, sono arrivate da un altro ex 5S, Alessandro Di Battista, che definisce Di Maio «un traditore» per il suo estremo sostegno al governo Draghi. «Se non si fosse piegato agli interessi degli Stati Uniti, non avrebbe ottenuto l’incarico», ha aggiunto.
In verità, però, Di Maio è il vero frutto politico delle teorie del fondatore del M5S Gianroberto Casaleggio: il trasversalismo e l’incredibile capacità di adattamento a tutte le stagioni del futuro inviato nel Golfo sono un’esecuzione perfetta dei discorsi che i grillini hanno sempre fatto sin dalla loro fondazione.

Resta per ora sullo sfondo il merito della questione, cioè la cura dei rapporti e degli interessi europei in un’area sulla quale affacciano Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran. Il mandato di Di Maio dovrebbe cominciare il primo giugno e avrà la durata di 21 mesi, fino al 2025. Non ci sono precedenti per questo ruolo, letteralmente inventato da Borrell nel luglio scorso. È qui che nasce la candidatura di Di Maio, un’ascesa irresistibile e per nulla intaccata dal suo clamoroso schianto alle ultime politiche.