Stipulare un contratto di governo con il Pd, e con un Pd tutt’altro che derenzizzato, per il Movimento 5 Stelle non è cosa scontata. Luigi Di Maio lo sa. Per questo ha aspettato fino all’ultimo prima di chiudere «ufficialmente» il forno rivolto a Matteo Salvini.

Quando si presenta davanti ai giornalisti tradisce qualche tensione, relativa alla sua posizione e agli equilibri tra i vertici grillini e il loro elettorato. Poi spiega: «Qualsiasi contratto di governo dovrà essere in ogni caso ratificato dai nostri iscritti alla piattaforma Rousseau», dice Di Maio, dopo la consultazione con Roberto Fico. Difficile che il sondaggio online si trasformi in un bagno di democrazia, ma il passaggio è indice dei sussulti interni. Il ricorso alla piattaforma di Casaleggio ha lo scopo di calmare le voci di dissenso che arrivano dalla base e la delusione di chi pareva più disponibile ad un accordo con la Lega. Di Maio prova a restituire l’immagine partecipativa del M5S. Ecco dunque che il «sistema operativo grillino» ritorna in scena, anche se non brulica di utenti attivi e di iniziative autonome dai territori. Era stato messo da parte negli ultimi mesi, ridimensionato dalla crescita elettorale, ma adesso viene rimesso sul piatto per legittimare il passo verso quel Pd che era stato l’obiettivo polemico principale dei 5 Stelle.

Il documento preparato dal professor Giacinto Della Cananea ha soltanto lo scopo di riazzerare il contatore e rimettere al centro una specie di minimo comun denominatore politico, un grado zero che non brilla per innovazione e cambiamento. I grillini lo sanno e si aspettano una trattativa tortuosa con un Pd che ha molti problemi ma conta su un punto di forza: è cosciente di essere l’ultima spiaggia per le aspirazioni di governo pentastellate. Tanto più che, se questo tentativo non dovesse andare in porto, Di Maio chiude ad ogni ipotesi alternativa. «Abbiamo 338 parlamentari e con questa forza un partito deve dare un governo del cambiamento del paese, e un governo del cambiamento parte dalle nostre battaglie – dice il capo politico del Movimento – Ovviamente con 338 parlamentari non può esistere opposizione o si va al governo o si torna al voto». Poi ribadisce ancora più chiaramente «Non siamo disponibili a dare la fiducia a governi tecnici, del presidente, governi di garanzia, di scopo».

Il Movimento 5 Stelle riunirà i gruppi parlamentari per un’assemblea congiunta domani sera, alle 19.30. All’ordine del giorno c’è la trattativa con il Pd. Dunque, i grillini definiranno il loro profilo prima che il Pd celebri la sua direzione nazionale, che potrebbe essere addirittura una settimana più avanti.

Oltre al difficile percorso che porta alla pace con gli ex acerrimi nemici renziani ci sono alcuni nodi interni da sciogliere. A cominciare da chi è il designato per Palazzo Chigi. È Roberto Fico l’uomo del dialogo e della «nuova fase»? Di Maio accetterà quel passo di lato che per questi cinquanta giorni ha chiesto ad altri?
Su questo punto le poche dichiarazioni che trapelano non convergono. Il deputato M5S Federico D’Incà si dice «molto fiducioso», anche se considera la posizione del capo politico inamovibile: «Credo che la premiership di Di Maio sia ferma e salda, non ci sarebbe vantaggio per nessuno a pretendere il contrario». Ma il suo collega Carlo Sibilia non pone condizioni: «Matteo Salvini ha deciso di restare legato a Berlusconi – afferma – Credo che non ci siano più impedimenti per avviare un governo M5S-Pd, i nostri programmi hanno diversi punti di contatto». Più salomonico Riccardo Fraccaro, da sempre vicinissimo a Di Maio: «Massima fiducia nel nostro candidato premier Luigi Di Maio e nel presidente Roberto Fico che sta conducendo le consultazioni».

Ma è lo stesso capo politico che all’uscita dalle consultazioni fornisce due indicazioni utili a capire le prossime mosse. Glissa per la prima volta sulla sua posizione di candidato alla presidenza del consiglio: dice soltanto di volersi fare «garante» dei contenuti e del «nuovo metodo» di governo fornendo una definizione meno impegnativa, ma che non scioglie del tutto il nodo della sua posizione. E non mette fretta al Pd. Sa che il tempo che passa potrebbe giocare a favore del dialogo e magari di una risalita della sua posizione. Mattarella permettendo.