«Rimpasto», che parolaccia! Le Repubbliche possono cambiare ma l’ipocrisia della politica italiana, quella non cambia mai. Ieri pomeriggio sono arrivate a palazzo Chigi, nell’ordine, le delegazioni del M5S e del Pd. Dovevano essere solo i capigruppo: si sono presentati in squadra. Capigruppo, capidelegazione, leader politici più o meno formalmente riconosciuti. È stato il Pd a insistere con il premier, perché solo con i capigruppo una verifica che si rispetti non è tale. Conte non si è fatto pregare troppo. Oggi sarà il turno dell’incontro chiave, quello con Renzi e la sua Iv, e con LeU.

UNA SOLA PAROLA D’ORDINE risuonava ieri e campeggerà oggi: no al rimpasto. «L’azione del governo deve proseguire, di rimpasto non abbiamo parlato», dichiara Zingaretti. «È surreale: non se ne discute», sbotta Crimi che risponde sullo stesso tono anche al premier che chiede se i 5S vedrebbero con favore qualche cambiamento. Ma si vola alto: le riforme che dovrebbero bilanciare il taglio dei parlamentari votato contro voglia dal Pd e soprattutto la legge elettorale, sin qui tenuta al palo perché si sa, vari una legge e finisce che si vota. Meglio tenerla in fondo all’agenda della legislatura. In realtà il rimpasto è buona parte della posta in gioco. Ci sono ministeri su cui le forze politiche hanno messo il cuoricino: il Pd su quello del Lavoro, forse perché Nunzia Catalfo è stata sin qui tra le migliori in campo e occorre provvedere, i 5S addirittura sul Viminale ma per farcela dovrebbero marciare sul Colle. E poi naturalmente i vicepremier, il vicesegretario Orlando per il Pd, probabilmente Di Maio per i 5S. Ma su quel capitolo Conte recalcitra.

Oggi anche Iv e LeU diranno che loro di rimpasto non vogliono saperne ma in questo caso con maggior sincerità. LeU perché teme che a sfilare una carta venga giù l’intero castello. Iv perché mira solo al bersaglio grosso: la testa di Conte. Se Renzi si acconcerà a più modeste ambizioni lo si capirà oggi. In quel caso si può scommettere che le mani in pasta vorrebbe metterle anche lui. Ma sono questioni di domani. In questa parvenza di verifica è davvero d’uopo non parlarne, un po’ perché non sono questioni che si affrontano in sedi tanto affollate, un po’ perché prima bisogna disinnescare, se possibile, la mina Renzi.

IL SENSO DEI VERTICI di ieri, molto più delle discussioni sul «cambio di passo», era tutto qui. Sinora Di Maio e Zingaretti avevano dato l’impressione di spalleggiare Renzi, quasi di mandarlo avanti come giocatore di sfondamento. Le cose sono cambiate negli ultimi giorni ma si deve fare di più. Pd e 5S devono far capire al ragazzo di Rignano che per loro c’è solo una maggioranza possibile, questa, e un solo premier, Conte. Devono giurare che dopo di lui c’è solo il voto. Alla faccia della pandemia, della crisi economica, dell’impossibilità di convocare i comizi e formare file di fronte alle urne.

QUANTO L’EX PREMIER si farà convincere dallo schieramento almeno in apparenza granitico degli alleati maggiori lo si capirà oggi. «Andiamo ad ascoltare quello che dirà il premier: noi quel che dovevano dire lo abbiamo detto in aula», anticipa Maria Elena Boschi, aggiungendo che l’ipotesi di accordi con il centrodestra «è fantapolitica». Però ripete anche che nel Recovery ci sono errori e non può essere un solo premier a decidere dove indirizzare i fondi. Questo lo sottoscriverebbero proprio tutti, a partire dallo stesso Conte che ieri stesso ha garantito, con formula un bel po’ leguleia, che «la task force non si sovrapporrà mai ai doverosi passaggi istituzionali». Che la bozza vada rimaneggiata è opinione comune. Sul quanto e come invece le opinioni divergono.

IL PD PENSA a una consultazione con le forze sociali, una modifica della bozza, poi il passaggio parlamentare. Qualcosa cambierebbe: non la struttura. Renzi invece, almeno fino a ieri sera, reclamava il ritiro della bozza e della Fondazione di controllo sui servizi. Conte esiterebbe persino di fronte alla formula timida suggerita dal Pd, figurarsi il ritiro. Oggi dirà a Renzi che la maggioranza, salvo Iv, è compatta sulla formula per cui la sola alternativa a questo governo è il voto anticipato e che su tutto si può discutere ma senza il ritiro secco della bozza. Se Renzi accetterà, la crisi sarà avviata verso una risoluzione più o meno rimpastata. Se punterà i piedi la crisi di governo farà un balzo da gigante vero il traguardo della inevitabilità.