«Quelli che prendono più di quanto hanno versato, una volta individuati, avranno un taglio pari a quello che prendono in più. Prenderanno quello che hanno versato. Come tutti». Il manifesto di intenti del ministro del lavoro reca brutte notizie per una platea assai più vasta dei cosiddetti «pensionati d’oro» (pensioni da 80mila euro lordi l’anno in su). Perché non è vero che «tutti» oggi in Italia «prendono quello che hanno versato». Anzi, essendo la riforma Dini relativamente recente (1995), l’Inps certifica che anche quest’anno su oltre 13milioni e mezzo di pensioni, appena mezzo milione sono calcolate con il metodo interamente contributivo, per tutte le altre vale il sistema retributivo o misto. Dunque non «prendono quanto hanno versato». Ragione per cui quella che Luigi Di Maio (inavvertitamente?) annuncia è una rivoluzione, peggiore di qualsiasi riforma Dini o Fornero. Che dà ragione a chi aveva visto queste intenzioni già nell’intervento sui vitalizi degli ex parlamentari.

Ma è davvero possibile estendere a tutti, ex post, il sistema di calcolo contributivo? Dal punto di vista sociale evidentemente no. Dal punto di vista giuridico se lo chiedono anche i capigruppo M5S e Lega D’Uva e Molinari, nella relazione al disegno di legge «disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo contributivo dei trattamenti pensionistici superiori a 4mila euro mensili» depositato alla camera.

I legislatori gialloverdi sono consapevoli, infatti, che la Corte costituzionale tiene buona guardia dei diritti acquisiti minacciati dagli interventi retroattivi. Tanto che i giudici delle leggi hanno definito il principio del «legittimo affidamento», vale a dire che il cittadino ha diritto a fare le sue scelte (come approfittare o meno della possibilità di anticipare la pensione, impegnarsi finanziariamente sulla base del suo reddito previsto) potendo contare sui diritti che l’ordinamento giuridico gli riconosce, che di conseguenza non possono essere sacrificati ex post. Ma a leghisti e grillini sembra di scorgere, probabilmente a ragione, un’evoluzione nella giurisprudenza della Consulta, tale da immaginare il semaforo verde anche per la loro legge. In tempi di crisi, cioè, la Corte ha lasciato passare tagli retroattivi delle pensioni purché giustificati dalla «solidarietà previdenziale». I confini sono stati disegnati da una sentenza recente, la 173 del 2016, che ha sancito la legittimità del contributo di solidarietà voluto dal governo Letta (il ministro Di Maio quindi sbaglia ancora una volta quando scrive che i contributi di solidarietà sono stati sempre bocciati). Il contributo «deve operare all’interno del complessivo sistema della previdenza, essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema, incidere sulle pensioni più elevate, presentarsi come prelievo sostenibile, rispettare il principio di sostenibilità, essere comunque utilizzato come misura una tantum». Condizioni che sembrerebbero rispettate dal disegno di legge in questione, salvo probabilmente la seconda e sicuramente l’ultima. «Si potrebbe ritenere che il possibile profilo di criticità delle disposizioni illustrate sia quello della non temporaneità», riconoscono D’Uva e Molinari, Ma spiegano che, trattandosi di un modo per rimediare definitivamente ad alcune «palesi diseguaglianze» prodotto dalla riforma Dini, la Corte potrebbe lasciar correre, considerandolo in qualche modo un intervento necessario. Gli autori però tralasciano di dire che proprio la loro legge introduce nuove «palesi disuguaglianze», quando per esempio non toglie un euro a chi continua a percepire un assegno superiore ai contributi versati, ma non raggiunge la soglia dei 4mila euro al mese. È già successo che la Corte abbia bocciato interventi sulle pensioni per «ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi».

Trattandosi però di un intervento generale «con specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali» come ha già chiarito la Corte, la nuova legge non dovrebbe incontrare quegli ostacoli che, invece, incontrerebbe certamente il provvedimento sui vitalizi, un taglio a posteriori che colpisce la sola categoria degli ex parlamentari e non porta benefici all’Inps. Se non fosse che, come ha spiegato in maniera disarmante il Consiglio di stato, la camera ha trovato il modo per tenere lontana la Corte costituzionale dalla sua decisione. Resta però la giustizia ordinaria.