«Per tutta un’intera opera di una straordinaria monotonia, indirizzato perennemente verso le identiche verità, Šestov dimostra senza stancarsi che il sistema più stringato, il razionalismo più universale, finiscono sempre per urtare contro l’irrazionale del pensiero umano»: così, Albert Camus, lapidario, inseriva nel suo Mito di Sisifo, Lev Šestov – insieme a Jaspers, Heidegger, Kierkegaard e i fenomenologi – tra i filosofi dell’assurdo.

Di questo notevole personaggio di origine ebraica, presente nella cultura europea tra gli anni novanta del XIX secolo e il primo trentennio del ’900, che aveva lasciato nel ’21 la Russia per Parigi abbandonando il suo vero nome, Ieguda Lejb Švarcman per distinguersi dal padre con cui era in conflitto, vengono ora riproposti due volumi, entrambi da Aragno, La filosofia della tragedia Dostoevskij e Nietzsche (pp. 205, euro 20,00) e, firmato da Benjamin Fondane, In dialogo con Lev Šestov Conversazioni e carteggio (pp. 401, euro 25,00 – entrambi a cura di Luca Orlandini).

Nella nuova riflessione sull’opera dell’autore di Delitto e castigo, che va da Merežkovskij a Gide e a Bachtin passando per Nikolaj Aleksandrovich Berdjaev, secondo il quale «il pensiero metafisico russo più sottile e complesso scorre tutto nell’alveo scavato da Dostoevskij e da lui deriva», Lev Šestov (che aveva già alle spalle articoli su Shakespeare, Tolstoj e Cechov) aveva pubblicato nel 1903 a San Pietroburgo il suo saggio (riedito a Berlino nel ’22, e tradotto in francese nel ’26), presentando Dostoevskij e il suo continuatore Nietzsche come coloro che esprimono appieno la filosofia della tragedia, l’unica forma possibile di pensiero moderno, che Fondane chiama «l’angoscia di fronte alla folle danza dell’essere e il desiderio di fermarla a ogni costo».

I loro percorsi esistenziali mostrano il crollo della fiducia nei sistemi rassicuranti dell’idealismo e della scienza, il mondo delle evidenze inconfutabili: «Dostoevskij parla di una trasformazione (la parola giusta sarebbe stata “rigenerazione”, non “mutamento”, come traduce il curatore) delle proprie convinzioni, in Nietzsche si tratta della trasvalutazione di tutti i valori».

Il compito stesso dell’arte non consiste, per Šestov, «nel piegarsi a regolamenti e norme, inventate da uomini diversi su una base o su un’altra, ma nel rompere le catene che gravano sull’intelletto umano che aspira alla libertà». L’uomo del sottosuolo e Zarathustra, l’esperienza della reclusione e quella della follia, portano Dostoevskij e Nietzsche nel territorio della tragedia, fino al venir meno del fondamento, all’apoteosi della precarietà, dunque hanno come approdo la certezza della solitudine. È questo un «territorio dello spirito» in cui tutte le certezze precedenti si riconoscono come false perché non giustificano la sofferenza, uno spazio in cui c’è solo tenebra e caos, e l’uomo accetta la realtà con tutti i suoi orrori e le sue contraddizioni: qui ha inizio la «filosofia della tragedia», che ha il compito di turbare e non di proteggere, che conduce all’assurdo la condizione esistenziale dell’uomo moderno.

A bilanciare l’accusa di monotonia lanciata da Camus, un altro filosofo di Kiev amico di Šestov, Gustav Špet, scrisse alla moglie, da Göttingen, nel ’12: «egli è molto difficile da capire, non però perché scriva in modo complicato, ma per la sua singolare maniera di trarre conclusioni negative, cosa che dalla maggioranza viene intesa come scetticismo e pessimismo, mentre io non conosco una persona che più di lui cerchi e desideri trovare la verità».
Quanto agli incontri tra Šestov e Fondane, essi testimoniano non solo l’evolversi della loro amicizia e della loro collaborazione, ma descrivono soprattutto il vivace ambiente culturale degli anni venti-trenta: il legame tra Šestov e quello che definisce il suo «vero maestro», l’unico ad averlo «ascoltato», Edmund Husserl, ma anche con Ortega y Gasset, Levy-Bruhl, Buber, Gide, Heidegger.

Protagonista della cultura rumena moderna, Benjamin Wechsler, che già in patria si firmava Fundoianu, nome poi mutato in Fondane quando arrivò Parigi nel ’24, è stato autore di saggi e poesie sulle principali riviste d’avanguardia, tra cui Integral, da lui fondata nel ’25 a Bucarest e diretta ancora in Francia insieme al poeta Ilarie Voronca. Vicino ai surrealisti, ma contrario al comunismo, sarebbe diventato una figura centrale dell’esistenzialismo ebraico proprio seguendo il pensiero di Šestov, che conobbe personalmente nel ’24, divenendone discepolo, divulgatore e dunque amico.

Il volume appena uscito – che comprende anche alcuni articoli di Fondane sul filosofo russo – riproduce la recente edizione francese dei Rencontres, a cura della figlia di Šestov, Nathalie Baranoff, e di Michel Carassou, con una postfazione di Ramona Fotiade, che introduce anche la versione italiana. Fondane consegnò nel ’39 gli appunti del libro all’amica Victoria Ocampo, attivista e scrittrice argentina fondatrice della rivista Sur, sulla quale pubblicavano Borges e Cortàzar, poiché già sapeva di non poterla più rivedere: sarebbe morto infatti, ad Auschwitz nel ’44.

Entrambi di grande importanza, i volumi (evidentemente preparati in contemporanea, perché la postfazione di Orlandini è presente immutata, refusi compresi, in tutti e due i testi, così come le note bibliografiche) sono gravati da innumerevoli e spesso irritanti errori, cui si aggiungono ripetute incongruenze che suggeriscono l’assenza di un’attenta revisione delle bozze.

La traduzione di Fondane è superficiale, a volte sbagliata, ma ciò che più stupisce è che Orlandini (però nel libro di Fondane!) dichiari che il volume di Šestov è una «nuova» traduzione e la «prima edizione critica in italiano», mentre la mancanza di un esplicito riferimento all’originale russo fa intuire che la traduzione si sia basata sull’edizione francese del 2012, delle cui note il curatore dichiara di aver usufruito.

Ora, viene da chiedersi, ha ancora senso, oggi, proporre al lettore italiano un’opera russa attraverso la mediazione del francese, soprattutto quando ci si trova di fronte a un autore, è il caso di Šestov, le cui opere sono in gran disponibili in italiano? Meglio sarebbe che chi volesse conoscere davvero Šestov, un autore ancora stimolante, tornasse alla più fedele traduzione di Ettore Lo Gatto (1950, poi 2004 con una nota di Sergio Givone), che restituiva al filosofo il linguaggio e l’elegante argomentare dell’originale russo.