Detonazione! Percorsi, connessioni e spazi altri nella controcultura romana degli anni Novanta (Rave Up, pp. 662, euro 25) è un’antologia con autori «molt* compagn*», come riporta la cover del libro. Documenti politici, flyer di serate e momenti di collegialità romana negli spazi sfuggiti al dominio del capitale e al controllo istituzionale hanno qui il loro posto, come a voler accompagnare le narrazioni e imprimere nel lettore la forza dirompente dell’eloquio per mezzo di una cultura visuale.

Il cut-up di argomenti che compongono il volume è di immediata evidenza. Ogni tematica è incline alle sensibilità dei singoli autori, ai loro percorsi capitolini di vita, ricerca e lotta. Lo scenario sono le università occupate negli anni Novanta sull’onda del movimento la Pantera, i Csoa e altri luoghi dell’underground romano. Luoghi in cui si combina la grammatica di strada a sperimentazioni multimediali e digitali, quest’ultime ai tempi ancora in grembo e pronte a un’impennata con la cultura hacker e cyber.

La musica è quella reggae, rap, elettronica e tecno, sonorità tra le quali per lunghi tratti è stata viva una sorta di fusione, attraverso l’utilizzo di campionatori, sintetizzatori e drum-machine, prima che ognuna delle culture musicali seguisse il suo stile di vita e si incanalasse verso percorsi sui generis.

Ciò è l’ulteriore riprova di come le sperimentazioni sonore abbiano da sempre dei canoni di base condivisi, e il file rouge è apoditticamente la musica.
La «personificazione» marxiana del Luther Blisset Project trova facile sponda nell’antropologo Massimo Canevacci. Ubiquità e molteplicità dell’identità sono l’unica possibile arringa da tenere in un commissariato in difesa dei Situazionisti romani, accusati dell’occupazione di un bus dell’Atac e all’atto di identificazione hanno indistintamente risposto di chiamarsi con il nome di questo personaggio pubblico immaginario. I romani del Luther Blisset parlano, al riguardo, di mitopoiesi e condividualità, in un progetto che ha assunto un’importanza tale per cui il «momento generativo del mito» che si riproduce nell’«essere in comune alleggerito dai concetti di comunità e collettività» trova simultaneamente spazio nelle realtà bolognese e londinese, a conferma della sua forza generatrice e aggregante.

Non è difficile immaginare discussioni in affollate assemblee pubbliche a dibattere di teoria gender, di politica del corpo, erotismo e pornografia da una prospettiva eterotipica focaultiana, o le campagne a favore del reddito universale per superare le contraddizioni tra militanza e la necessità di dover lavorare per vivere. Osservazioni che sono il frutto di link mentali e di un battagliare condiviso, in cui il narcisismo egoistico neoliberista è ancora assume le fattezze di un incubo lontano dall’immanenza.

Per chi ha frequentato questi territori, il libro è un’immersione in un passato non più sovrascrivibile. Tuttavia, è evidente che il suo scopo è invitare soggetti e collettivi contemporanei ad attingere dall’epicentro delle culture urbane degli anni Novanta, saccheggiando idee e pratiche, da riadattare o detournare anche ben oltre il XXI secolo, in cui la mediatizzazione della quotidianità la sta spuntando sui rapporti face-to-face.