Il tribunale del riesame ha annullato l’accusa di omicidio volontario per due dei migranti africani, uno di nazionalità ghanese e l’altro senegalese, arrestati per la morte di Desirée Mariottini. La ragazza diciassettenne era stata trovata senza vita lo scorso 18 ottobre, in un cantiere abbandonato popolato da spacciatori e senza fissa dimora nel quartiere romano di San Lorenzo.

Il tribunale della libertà, accogliendo le istanze delle difesa, ha riformulato l’accusa di violenza sessuale di gruppo in abuso sessuale aggravato dalla minore età della vittima e riconosciuto il reato di spaccio per entrambi. Si era appreso che sarebbe stato difficile per gli inquirenti dimostrare l’omicidio. I due restano in carcere, ma per i giudici al momento non ci sono elementi sufficienti a dimostrare che sono stati loro ad avere materialmente ucciso la ragazza. «Sono contenta per il mio assistito nella cui innocenza, alla luce delle indagini svolte ho sempre creduto. Mi dispiace perché, indagini condotte in tal modo, rischiano di non rendere giustizia a quella povera ragazza», dice la legale di uno di loro.

Dalla procura di Roma non cambiano strategia, fanno sapere di volere ancora seguire la strada tracciata fin dai primi giorni. «Siamo ancora nella fase degli indizi – spiegano – Quindi è giusto che il tribunale faccia le sue valutazioni. Il nostro quadro accusatorio però non cambia di una virgola». Oggi si tiene l’udienza del riesame per il terzo migrante arrestato, un cittadino senegalese, ma a questo punto non sorprenderebbe una decisione analoga a quella presa per gli altri due.

Contemporaneamente, è in programma l’interrogatorio di garanzia per il quarto arrestato, il misterioso «Marco», un pusher italiano che avrebbe ceduto la dose letale, un mix di droghe e tranquillanti che ha ucciso Desirée. L’uomo si trova da qualche giorno nel carcere di Regina Coeli, per lui l’accusa è di detenzione e spaccio di eroina, cocaina e psicofarmaci. Secondo alcuni dei tanti testimoni, peraltro, «Marco» era presente anche nel momento in cui Desirée assumeva le sostanze che egli stesso aveva procurato. Circostanze tutte da dimostrare, che potrebbero complicare ulteriormente la posizione dello spacciatore italiano. Lui, dal canto suo, nel corso dell’interrogatorio ha ammesso di aver conosciuto Desirée ma ha giurato di non averle mai ceduto sostanze stupefacenti.

Nel paese in cui la cronaca nera viene usata per scandire il dibattito pubblico, il caso era divenuto occasione di scontro politico, mosso soprattutto dalla visita di Matteo Salvini nel quartiere romano, storicamente collocato a sinistra e oggi travolto da trasformazioni radicali e speculazioni imponenti. All’apparizione del leader leghista sulla scena del delitto erano seguite polemiche, tentativi di trainare la vicenda da parte dell’estrema destra e infine la reazione del quartiere in difesa della memoria antifascista del posto e soprattutto la presa di parola delle donne contro ogni speculazione politica agita sul corpo della giovane rimasta uccisa.

Salvini, in quella occasione, aveva evitato di puntare sulla xenofobia e agitare retoriche razziste e si era concentrato su un altro dei suoi obiettivi, cui tiene molto soprattutto nel caso di Roma: aveva approfittato del dolore causato dalla tragedia per rilanciare gli sgomberi nella capitale. Solo due giorni fa poi, in seguito alla notizia che lo spacciatore fosse italiano, il ministro dell’interno ha invocato un giro di vite proibizionista sulle droghe: «Il problema è che la normativa sullo spaccio di droga è troppo blanda», ha sostenuto.