Nelle grandi città, le recenti elezioni hanno indicato anche il sindaco della Città Metropolitana. Il governo dei flussi e degli scambi di beni, persone e servizi nelle aree vaste dovrebbe essere importante quanto quello del governo del Comune.

Ma così non è: l’evidente fallimento della legge “Del Rio” pare non preoccupare il parlamento e i ministri competenti. A guardarle da vicino, le aree metropolitane sono in realtà “metromontane” (si veda: F. Barbera e A. De Rossi (a cura di), Metromontagna, Roma, Donzelli, 2021), con percentuali elevatissime di comuni montani o parzialmente montani all’interno dei confini che le delimitano.
Accanto all’altimetria, poi, la diversità territoriale è alimentata dalla distanza dai servizi: l’Italia è un paese “rugoso”, dove le aree lontane dai servizi di cittadinanza – scuole-ospedali-trasporti – sono pari al 22,5% della popolazione, al 51,7% dei comuni e al 59,8% della superficie. Diversità territoriale e policentrismo, però, che sono inghiottiti dalla semplicistica narrazione sui “borghi”. Narrazione a cui corrispondono misure come il Piano Nazionale Borghi, da cui scompaiono le reti fra comuni e gli abitanti a favore di interventi su comuni singoli (uno per regione!) con scopi di potenziamento del turismo, ovviamente lento e sostenibile.

Come già per la cultura, anche la valorizzazione del territorio è tale solo se inglobata nella goffa egemonia del “turismo petrolio d’Italia”, oggi condita con una spruzzata di ecologismo. Ma le aree interne non sono solo borghi e il loro rilancio non passa solo dal turismo lento: sono luoghi da riabitare fin dalla vita quotidiana delle persone. Occorre, per questo, pensare al policentrismo territoriale fuori dall’estetismo che caratterizza lo sguardo del turista e abita le copertine patinate delle riviste specializzate.
L’Italia è un paese bellissimo stracolmo di luoghi brutti di cui nessuno parla: campagne spopolate, tristi fondovalle, coste orfane senza più turismo di massa, città medie prive di beni storico-culturali, distretti turistici invernali dove non nevica più. Bruttitalia, potremmo definirla. Territori che nessun turista vorrebbe mai visitare, spesso pieni di bar dai tavoli di formica che servono prodotti industriali privi di ogni legame con la “tipicità”. Ma davvero c’è qualcuno che vuole restare nelle aree interne del Paese, tanto in quelle “belle” che in quelle “brutte”? Il potere attrattivo delle città non ha – sempre e comunque – la meglio?

Le risposte a queste domande si trovano nella ricerca realizzata dall’Associazione “Riabitare l’Italia”, dal significativo titolo “Giovani Dentro”, un progetto di ricerca sulla vita e sulle prospettive dei giovani abitanti delle aree interne italiane (18-39 anni). L’indagine è stata sostenuta da Fondazione Vismara e dal fondo Mutualistico Legacoop – CoopFond e realizzata grazie alla collaborazione con vari partner scientifici (https://riabitarelitalia.net/RIABITARE_LITALIA/giovani-dentro/).

Le diverse fasi di indagine hanno coinvolto circa 3.300 cittadini delle aree interne italiane, di cui circa un terzo attraverso un campione di 1.000 individui stratificato e per quote, rappresentativo della popolazione 18-39 anni rispetto a genere (maschio, femmina), età (18-29 anni, 30-39 anni) e zona di residenza (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole). Per la prima volta, delineato il profilo del giovane abitante delle aree interne con particolare riferimento alle tappe di vita in ambito di formazione e lavoro, indagate le motivazioni valoriali del “restare” sui territori (o del tornare, nel caso dei “nuovi montanari/abitanti”), investigato il rapporto con la natura e la potenziale motivazione a lavorare in agricoltura dei giovani.

Il dato non scontato è che circa la metà dei rispondenti (52%) vorrebbe restare nel luogo in cui vive e pianificare lì la propria vita, mentre solo il 12% vorrebbe invece vivere e lavorare altrove e ha in programma di partire. Gli altri si dividono tra chi vorrebbe partire ma non può (21%) e tra chi invece vorrebbe restare ma si vede costretto a partire (15%). Tra le principali motivazioni a restare ci sono il forte legame con la comunità (65 %), la possibilità di contatti sociali più gratificanti (68%) e la migliore qualità della vita (79%). Per ciascuno di questi motivi il sud e le isole hanno percentuali più alte.

Esiste, quindi, una rilevante domanda di aree interne e montane, che attende politiche pubbliche attente alle specificità dei luoghi, che diano servizi pubblici e opportunità di lavoro alle persone. Politiche non solo orientate dalla narrazione dei borghi e alla valorizzazione dell’immancabile turismo lento, ma incentrate sul valore della vita quotidiana degli abitanti dei territori, tanto di quelli con i paesaggi da cartolina come di quelli dove nessun turista vorrebbe mai trascorrere più di qualche ora. Temi, questi, per l’agenda dei nuovi Sindaci “metromontani”.