«A settembre riapriranno le scuole e riprenderanno a pieno ritmo gran parte delle attività lavorative, occorre collaborazione istituzionale per fare tutto ciò che è possibile per la prevenzione nella fase di ripartenza». Il presidente Stefano Bonaccini chiede di riaprire al pubblico gli impianti sportivi ma insiste soprattutto sul nodo del trasporto pubblico locale, quando al termine della Conferenza delle Regioni chiede un incontro urgente con il governo. Concesso immediatamente per il 10 agosto, anche perché dopo la desecretazione di alcune delle raccomandazioni del Comitato tecnico scientifico (Cts) relative ai mesi scorsi che hanno sollevato dubbi sulla corrispondenza tra il parere degli scienziati e le decisioni poi assunte effettivamente dall’esecutivo nella «Fase 1» della pandemia, il premier Conte cerca ora la massima condivisione possibile.

Il ministro Speranza, foto LaPresse

«Iss e ministero della Salute hanno completato un lungo lavoro sulle linee guida generali per la ripresa di ottobre», annuncia infatti il ministro della Salute Speranza durante un’informativa al Senato, ieri, nella quale ha specificato che il documento è stato trasmesso al Cts e sarà poi «inviato alle Regioni», per costituire «l’orizzonte con cui affrontare la fase della ripresa». Sì alla ripartenza di crociere e fiere, no al pubblico negli stadi, no alla disponibilità totale dei posti sui mezzi di trasporto pubblico, neppure sui treni locali. E il vaccino, quello studiato ad Oxford e prodotto a Pomezia, probabilmente già entro la fine dell’anno, anticipa Speranza.

MA A SCOTTARE SONO I CINQUE verbali, fin qui riservati, consegnati alla Fondazione Luigi Einaudi dopo una lunga battaglia a colpi di ricorso al Tar e al Consiglio di Stato («la trasparenza è una regola fondamentale», ha ammesso con un certo ritardo Speranza) dai quali si può ricostruire il modo in cui sono state prese le decisioni governative contenute nei Dpcm firmati dalla fine di febbraio all’inizio di aprile. Solo parzialmente però: si tratta infatti dei verbali completi del 28 febbraio 2020 (n° 12), 30 marzo (n°39) e del 9 aprile (n° 49), e solo parte dei verbali n° 14 del 1 marzo e n° 21 del 7 marzo 2020.

Quest’ultimo è particolarmente importante perché due giorni dopo, il 9 marzo, viene decretato il lockdown completo in tutta Italia, con le stesse misure su tutto il territorio nazionale. A ben guardare però il Dpcm firmato da Conte il giorno prima, l’8 marzo, seguiva pedissequamente le raccomandazioni del verbale n°21 dove il Cts prescriveva «due “livelli” di misure di contenimento da applicarsi: l’uno, nei territori in cui si è osservata ad oggi maggiore diffusione del virus; l’altro, sull’intero territorio nazionale». In Lombardia e in 14 province dell’Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, gli scienziati chiedevano tra le altre cose di bloccare ogni movimento in entrata e in uscita, mentre nel resto del Paese si raccomandava solo la «limitazione delle mobilità ai casi strettamente necessari». Ma, tra le varie misure da applicare ovunque, c’era anche la sospensione «delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza di attività di formazione superiore», comprese le Università. L’esecutivo si adeguò alle istruzioni. Ma poi il 9 marzo, nel decreto «#iorestoacasa», Conte annunciava che non ci sarebbero state più zone rosse ma «solo l’Italia zona protetta».

COL SENNO DI POI SICURAMENTE sarebbero state necessarie soluzioni più differenziate tra il Nord più colpito e il Sud che ha patito di meno. Ma andando a ripescare i dati della Protezione civile di quei giorni – e non avendo ancora la possibilità di accedere a tutti i verbali del Cts (alla faccia del «trasparenza» spacciata senza ritegno dai grillini, ma anche dal Pd) – appare evidente come la curva dell’epidemia lasciasse poco spazio all’ottimismo: il 7 marzo infatti risultavano positive al virus 5061 persone, 567 in terapia intensiva, 233 i deceduti. Il 9 marzo i positivi erano già 7985, in terapia intensiva c’erano 733 pazienti e i morti erano saliti a 463. Dopo arrivarono altri picchi. Tanto che il 9 aprile il Cts, discutendo l’avvio della Fase 2 con un allentamento graduale delle restrizioni adottate, raccomandava però il «mantenimento della sospensione delle attività didattica frontale fino all’inizio del prossimo anno scolastico».

ORA LA SITUAZIONE È MOLTO diversa: «Abbiamo dei focolai che stiamo monitorando, ed è questa la differenza fondamentale rispetto all’inizio della pandemia – ha spiegato il professor Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di virologia dell’Ospedale universitario di Padova – ora riusciamo a circoscrivere i contagi, all’inizio non riuscivamo». Adesso però, dopo una flessione della curva dei positivi, «da qualche settimana siamo in una fase di sostanziale stabilità», come ha riportato al Senato il ministro Speranza. Ieri i dati della Protezione civile segnalavano 402 nuovi casi, 6 in più delle 24 ore precedenti. Ma i morti sono ancora 6, a fronte dei 10 del giorno prima.

Il virus circola ancora ma, ha sottolineato Speranza riportando i dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, «il tasso di incidenza su 100 mila abitanti negli ultimi 14 giorni e in Italia è pari a 5,7 casi, in Germania 8,4, nel Regno Unito 12,6, in Francia 19, in Croazia 25,3, in Spagna 53,6, in Romania 75,1 casi». È una notizia confortante e forse il risultato è dovuto anche al lockdown più lungo d’Europa.

ORA, HA PREGATO IL MINISTRO della Salute, «non dividiamoci sulle tre regole essenziali e decisive». Utilizzo delle mascherine nei luoghi chiusi pubblici, distanziamento interpersonale di almeno 1 metro e lavaggio frequente delle mani: tre regole, ha detto, che «devono essere patrimonio condiviso di tutto il Paese». Su questo «non c’è materia politica, non c’è sinistra, destra o altro».