I derivati “maledetti” Alexandria e Santorini fanno altre due vittime eccellenti, almeno in primo grado. La loro contabilizzazione a bilancio come Buoni poliennali del Tesoro (Btp), per un ammontare di 5 miliardi, costa all’ex presidente e attuale amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, e all’allora braccio destro Fabrizio Viola che era ad di Mps, una condanna a 6 anni, nel processo sulle presunte irregolarità della banca nel periodo tra il 2012 e il 2015, quando Profumo guidava Rocca Salimbeni. La seconda sezione penale del Tribunale di Milano ha condannato anche l’ex presidente del collegio sindacale Paolo Salvadori a 3 anni e 6 mesi, sempre per false comunicazioni sociali e manipolazione informativa del mercato, cioè aggiotaggio.
La condanna di Profumo, secondo gli addetti ai lavori, non dovrebbe avere ripercussioni sul suo ruolo in Leonardo, l’ex Finmeccanica, almeno fino alla conclusione del processo d’appello. Piuttosto lascerà nell’incertezza il Monte dei Paschi, visto che, nella recente audizione alla Commissione parlamentare sulle banche, l’attuale ad Guido Bastianini ha spiegato che Mps deve affrontare 10.735 tra cause, richieste stragiudiziali e reclami, per una richiesta di danni complessiva di 10,2 miliardi. Con le sole richieste stragiudiziali per le informazioni diffuse al mercato, ben 1.125, che valgono 4,6 miliardi.
La sentenza, pronunciata alla Fiera di Milano a causa dell’emergenza Covid, segna almeno in prima battuta la vittoria dell’ex manager montepaschino Giuseppe Bivona, oggi in Bluebell Partners e parte civile nel processo, insieme ad una valanga di piccoli e grandi azionisti e obbligazionisti, ben 4.800. Proprio Bivona aveva denunciato Profumo e Viola, accusandoli di aver dato alla Borsa false dichiarazioni su Alexandria e Santorini, peraltro operazioni fatte dai loro predecessori Giuseppe Mussari e Antonio Vigni con Nomura e Deutsche Bank. Inoltre Bivona li accusava “di aver fatto contabilizzare i derivati come titoli di Stato, e di aver presentato i bilanci 2012, 2013, 2014, e la semestrale al 30 giugno 2015, falsi”.
L’inchiesta che ne era derivata, affidata agli stessi tre pm – Stefano Civardi, Mauro Clerici e Giordano Baggio – che hanno chiesto e ottenuto lo scorso anno la condanna in primo grado di Mussari, Vigni e di tutta una serie di ex manager di Mps, Deutsche Bank e Nomura – ha avuto un excursus singolare: per tre volte i pm avevano chiesto l’archiviazione di Profumo e Viola, e per tre volte i giudici delle indagini preliminari avevano deciso diversamente, fino a disporre il rinvio a giudizio degli indagati con una imputazione coatta.
Anche al processo i pm il 16 giugno scorso avevano chiesto l’assoluzione. Ma i giudici del dibattimento (Flores Tanga, Sandro Saba e Roberto Crepaldi) sono stati di diverso avviso. Nel dispositivo della sentenza (motivazioni entro 90 giorni), Profumo e Viola sono stati condannati per aggiotaggio dal 2012 al primo semestre 2015, e per false comunicazioni sociali rispetto al secondo semestre 2015. Prescrizione per le false comunicazioni sociali nel bilancio 2012, e assoluzione “perché il fatto non sussiste” nei bilanci 2013 e 2014. Il tribunale ha inoltre condannato i due manager al pagamento di 2,5 milioni ciascuno, e ha richiesto 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, e a 2 anni di interdizione di contrattazione con la pubblica amministrazione e dalla rappresentanza delle società. La banca è stata condannata a 800mila euro di multa e al pagamento delle spese legali.
Delusi i difensori Adriano Raffaelli e Francesco Mucciarelli: “E una sentenza sbagliata, siamo sicuri che i nostri assistiti hanno operato correttamente. Leggeremo le motivazioni della sentenza e faremo sicuramente appello”. Per certo però, visto che Profumo e Viola sono anche sotto inchiesta, sempre per false comunicazioni sociali e aggiotaggio, per la contabilizzazione dei crediti deteriorati di Mps, il compito non sarà facile. E visto l’esito di questo processo e la difesa dei due manager, basata sul fatto che hanno sempre operato di concerto con le autorità di controllo, Bankitalia e Consob, si aprono nuovi, ulteriori interrogativi. Sottolineati, va da sé, da Bivona.