C’è un’urgenza reale nei due lavori che l’artista napoletano rilascia in contemporanea – e sotto lo stesso nome – Il poeta che non sa parlare. Un libro (con prefazione di Nicola Lagioia, edito da Baldini & Castoldi) e un disco (Di.Elle.O/distr.Believe) che raccontano il passato, il contemporaneo e – si immagina – il futuro di D’Angelo. «Io ho avuto due vite – spiega l’autore -. Con gli stessi occhi, le stesse mani, gli stessi piedi, le stesse braccia, lo stesso cuore, le stesse orecchie. Ma con capelli diversi, ossigenati e naturali. Queste due vite stanno sempre con me, vivono dentro di me, come il passato e il presente». La «cultura della povertà» – su cui si sofferma in molte pagine – con tutte le difficoltà di chi nasce nei sobborghi di Napoli e deve far conciliare il pranzo con la cena, e all’improvviso si trova catapultato sotto i riflettori davanti a fan in delirio. Un successo prima solo partenopeo e poi sul palco di Sanremo, protagonista di pellicole commerciali che sbancano il box office Uno scugnizzo a New York, Discoteca, Fotoromanzo. Poi la crisi e il cambio deciso di rotta: la colonna sonora di Tano da Morire che gli affida Roberta Torre, il cinema che conta e la scoperta di nuove sonorità («ascoltare So di Peter Gabriel mi ha proiettato in un’altra dimensione»).

I NOVE INEDITI che compongono il nuovo disco – più una cover di un suo pezzo del 2012 reinterpretata con otto artisti napoletani – si muovono nel solco della tradizione riletta con un occhio contemporaneo – l’autore lo chiama world pop, e la definizione è quanto mai azzeccata. Suoni elettronici – ad arrangiare e orchestrare ci pensa il maestro Nuccio Tortora – e canzoni che mescolano tematiche sociali a profili ecumenici. Gli ospiti sono tanti: la voce recitante di Toni Servillo nell’iniziale Pane e canzone, e poi Rocco Hunt in Chillo è comm’’a te: «Una canzone contro il razzismo – sottolinea D’Angelo – un giorno a Casoria mi sentii chiamare da un ragazzo di colore che parlava napoletano meglio di me. Mi raccontò la sua storia: il padre era africano, la mamma di Porta Capuana e lui era nato proprio a Napoli. Lui è un partenopeo a tutti gli effetti, non capisco i discorsi sul colore della pelle, ci sono tante storie come la sua comunque». C’è il sax di James Senese a contrappuntare Vivere e murì: «La solitudine di un uomo maturo si perde negli occhi giovani di un amore inaspettato. Ma vivere equivale a morire quando si accorge che la persona che ama non è stata e non potrà essere mai sua. Disco dalle tante sfaccettature, ma sopra il quale domina la figura dell’interprete capace di sottolineare con timbri e colori i vari stati d’animo che pervadono le singole composizioni.»