Alcuni libri, da poco usciti, permettono di tracciare un ritratto non occasionale di Toni Negri, scomparso il 16 dicembre 2023. Partiamo dal suo singolare, e non isolato, rapporto etico con il tempo storico. È l’aspetto generativo che ha accompagnato un lavoro instancabile che ha comportato l’adeguamento delle prassi ai problemi che il presente ci consegna. In questa cornice andrebbe inquadrata la spigolosa ricerca di una soggettività antagonista e autonoma rispetto alla trinità combattuta tutta la vita: la proprietà (la borghesia), i confini (lo Stato, la sovranità) e il Capitale.
Questa attitudine di Negri è stata, a torto, confusa con un insipido ottimismo o, peggio, con un volontarismo. Si tratta, invece, di un’indicazione di metodo. Il metodo della «tendenza» di cui parlava Karl Marx.

Nell’autobiografia, scritta con Girolamo De Michele (pubblicata da Ponte alle Grazie, in tre volumi) è possibile trovare tracce di tale metodo nei drastici cambiamenti che ha attraversato da filosofo e militante comunista, come si è definito nell’intervista a questo giornale in occasione del suo novantesimo compleanno.

LO SPUNTO lo troviamo nelle ultime pagine di uno dei suoi testi più originali: Marx oltre Marx che sarà ripubblicato da manifestolibri, con una nuova prefazione. «Si dice – ha scritto Negri – che i concetti fondamentali della tradizione marxista, quello di capitale, di classe operaia, di imperialismo, vanno ammodernati e posti al passo dell’attuale fenomenologia del capitale, vanno ristrutturati dentro lo sviluppo sociale del Capitale. Che rispondere, se non affermativamente? Tutto il mio discorso si muove su questo terreno dell’ammodernamento». Queste parole indicano un filo rosso che attraversa il pensiero politico di Negri. Impegno a non arretrare da Marx e anzi a portarlo oltre; intreccio del pensiero e dell’agire per posizionarsi nella congiuntura dove si formano i rapporti di forza e i modi per trasformarli.

Questioni rilevate da un brillante ricercatore come Elia Zaru in un’efficace monografia per DeriveApprodi (Antonio Negri, pp. 75, euro 10). Lo ha confermato Sandro Mezzadra nella prefazione a La fabbrica della strategia. 33 lezioni su Lenin (manifestolibri, pp. 335, euro 18). Risultato delle lezioni tenute tra il 1971 e il 1972 a Padova, questo libro è formidabile nella reinterpretazione del grande rivoluzionario nel solco dell’operaismo del Tronti di Operai e capitale, ma anche problematico nella descrizione della politica come «guerra civile». L’autore, osserva Mezzadra, avrebbe in seguito ricalibrato il suo punto di vista sulla politica, essendo cambiata la congiuntura, e rivisto il metodo. Mantenne però sia il concetto leninista di «doppio potere» che quello di ripensare costantemente il rapporto tra tattica e strategia. Lo fece ancora nell’ultimo libro scritto con Michael Hardt, Assemblea (Ponte alle Grazie, 2018) dove intese la moltitudine come un rinnovato concetto della «classe» marxista. Rinnovata, cioè, all’altezza dei movimenti che cercano l’intersezione, l’alleanza e l’insorgenza. Questioni irrisolte, ma soggettivamente centrali, nel dibattito attuale.

LA RICERCA TEORICA partecipa a un’inchiesta permanente collettiva, fatta anche con le riviste, capace di rinnovare strumenti analitici e di intervento. La conoscenza ha bisogno di prassi, e viceversa. Fu, questa, una pratica maturata dagli anni dei Quaderni rossi e Classe operaia. Ripresa ne L’inchiesta metropolitana. Scritti tra politica e sociologia (manifestolibri, pp. 261, euro 18, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do). Il libro contiene articoli – alcuni inediti – circolati di mano in mano tra i giovani militanti che conobbero Negri a Roma, tra la metà degli anni Novanta e i primi anni Duemila, al suo ritorno in galera dall’esilio di Parigi e durante la libertà vigilata.
Negri aveva ricominciato a costruire un laboratorio collettivo negli anni che preparavano i movimenti altermondialisti tra Seattle e Genova e oltre. Allora si dava il primo tentativo di organizzare il lavoro precario con le «tute bianche», la «May Day parade» a Milano e San Precario. E si pubblicavano riviste come Futur Antérieur, DeriveApprodi, Infoxoa e poi Posse.
In quegli anni usciva negli Stati Uniti Impero, scritto con Michael Hardt.

L’inverno è finito, recitava il titolo di un libro pubblicato già nel 1995 (Castelvecchi, collana «DeriveApprodi»). Beppe Caccia raccolse le con-ricerche fatte in Francia negli anni Ottanta da Negri insieme tra gli altri con Maurizio Lazzarato e Antonella Corsani sulle imprese del lavoro diffuso, il «bacino del lavoro immateriale», i servizi pubblici o le «autostrade dell’informazione». Sono lavori importanti per una genealogia del lavoro digitale, di quello autonomo, del «precariato», oltre che per la ricostruzione dei potenti cicli di mobilitazione che si sono susseguiti in Francia dal dicembre 1995 all’altro ieri.
Le cartografie dei soggetti al lavoro e la conoscenza dei rapporti di produzione servirono per indagare la trasformazione della società in una fabbrica sociale. In termini marxisti, si direbbe «la riproduzione sociale allargata», cioè l’estensione della produzione capitalistica ad ogni aspetto della vita.

QUESTO ASPETTO fu rilevato già negli anni Settanta quando la fabbrica si disseminava nella società. Negri analizzò il passaggio dall’«operaio massa» all’«operaio sociale» in un libro intervista con Paolo Pozzi e Roberta Tomassini riedito da Ombre Corte.
All’inizio del nuovo millennio riemergeva su queste basi l’idea della «metropoli». Era intesa non come un «aggregato poliziesco della guerra ai poveri», muri e speculazioni immobiliari, ma come «spazio politico dell’alleanza» tra soggetti inclusi ed esclusi dai processi produttivi. Tale spazio confliggeva con la città oggi devastata dall’economia del turismo digitale. Negri, inoltre, prefigurava lo «sciopero metropolitano». Lo aveva visto in atto in Francia durante le proteste nei trasporti pubblici. Era, per lui, uno strumento di organizzazione del «contropotere» e di una «polis» diversa da quella del pensiero politico classico. Democratica e antirazzista, non basata sul lavoro degli schiavi.
Sta qui, presumibilmente, l’origine della categoria di «biopolitica». Non solo da una filologia di Michel Foucault, ma dall’uso di questo concetto nell’ambito di un’inchiesta sul capitalismo che «produce soggettività». Un interprete sensibile farebbe risalire tale espressione al lavoro comune fatto da Negri con Fèlix Guattari con il quale scrisse un luminoso libro nel 1985 Nuovi spazi di libertà (oggi ripubblicato da Orthotes). Utilissimo, tra l’altro, per comprendere l’evoluzione della ricerca sul «divenire donna del lavoro» come l’ha definito Cristina Morini ancora in Vite lavorate (manifestolibri).

Ne L’inchiesta metropolitana c’è un’analisi inedita su un libro che ha cambiato la concezione del lavoro autonomo «di seconda generazione» in un’economia terziarizzata. È stato curato da Sergio Bologna e da Andrea Fumagalli (Feltrinelli, 1997). È uno dei vertici della ricerca «operaista» che ha innovato la sociologia del lavoro autonomo, sottraendola dai limiti giuridici e sociologici.

SI INDAGA IL MODO in cui la forza lavoro è diventata «capitale fisso», non più solo «variabile». L’individuo gestisce in maniera formalmente indipendente le risorse, le infrastrutture, i saperi, le relazioni. Negri coglie il problema: la polarizzazione nel lavoro autonomo tra l’appartenenza di ceto o di «comunità» e il lavoro nelle reti locali e globali del mercato.
Da un lato, c’è il superamento del lavoro salariato; dall’altro lato, l’aumento dell’(auto)sfruttamento. Un problema che blocca la produzione di soggettività, e la capacità di alleanza con altri soggetti del lavoro. Porselo, anche dal punto di vista dell’organizzazione di una «coalizione», è oggi essenziale per riunire la rivendicazione dei diritti sul lavoro con quelli nella società e per la democrazia.

Al cuore del problema c’è la difficoltà di «misurare» il valore con il salario o la partita Iva. Tale valore «eccede» la sua misurabilità in termini capitalistici. Questa è l’origine del selvaggio sfruttamento attuale. Negri vede però in questa negazione anche la possibilità di una liberazione. La individuò nel «reddito di base», uno strumento attualissimo per contrastare le «politiche attive del lavoro» collegate ai sussidi di povertà e disoccupazione. In una recensione critica al pur importante libro di André Gorz Miserie del presente, ricchezze del possibile (manifestolibri), Negri allargava in termini marxisti l’interpretazione di una misura essenziale per ribaltare i rapporti di produzione, oltre che quelli fiscali e il Welfare «classico». Erano note scritte dal carcere di Rebibbia, uno di quelli dove vent’anni prima aveva scritto in condizioni disperate il suo libro su Spinoza, L’anomalia selvaggia (Deriveapprodi). Quando nella resistenza c’è un atto di creazione.