Un diluvio di arte, tanto da far venire l’orticaria? Non disperate. Si può fare così: un giorno (anche post vernissage per chi non deve lavorare nell’immediato, oltretutto il meteo è terribile, non aiuta la preview) tutto da spendersi fra Arsenale e Giardini (occhio all’Argentina di Nicola Costantino con il suo tributo a Evita, alla Corea con la bravissima Kimsooja, la Francia di Anri Sala, l’Inghilterra con Jeremy Deller, la Germania di Ai Weiwei, Karmakar, Mofokeng, Singh altri, una new entry come il padiglione della Santa Sede con Tano Festa) e poi gli altri due giorni in giro per le calli e i palazzi storici.

Le sorprese, fuori itinerario classico, non mancheranno e non deluderanno. Molti dei paesi alla loro prima volta alla Biennale sono in spazi diversi dal percorso obbligato: l’Angola alla Fondazione Cini, il Costa Rica in santa Croce (qui c’è da tenere d’occhio Priscilla Monge), l’Iraq a Ca’ Dandolo. Ecco, in questo palazzo cinquecentesco gli iracheni hanno allestito una pasticceria e offrono tè e dolci a tutti. Dopo il riposo all’ombra della cultura mesopotamica, si può partire alla ricerca della nave-padiglione del Portogallo. E’ lei, Joana Vasconcelos a proporre questo battello ricoperto di azulejos, metafora di ogni migrazione possibile (ma anche della nostalgia e del ritorno).

Fra i consigli delle tappe imperdibili c’è una visita alla Fondazione Bevilacqua La Masa. Ha due sedi: in quella di san Marco espone Munch per il padiglione Norvegia e una serie di altri artisti focalizzandosi sul tema emancipazione e sessualità, ma nell’altra – il Palazzetto Tito – c’è il Paesaggio Incompiuto che vede come “esploratori” Marina Abramovic, Maurizio Cattelan, Tacita Dean, Rirkrit Tiravanija e molti giapponesi (dal design ai manga alla letteratura) come Yoneda, Oku, Koizumi, Terayama, dato che il progetto è stato curato in collaborazione con la Japan Foundation. Poi, vicino Palazzo Grassi, stop a Palazzo Falier: c’è il portoghese Pedro Cabrita Reis con il suo Remote Whisper. L’artista presenta nei 700 metri quadri del piano nobile un intervento monumentale, che invade le pareti e i pavimenti, invitando il visitatore a intraprendere traiettorie casuali e labirintiche attraverso lo spazio. Alle Officine delle Zattere si fa conoscenza con il Bangladesh contemporaneo, mentre la Bosnia (grande ritorno dopo molti anni) fa capolino da Palazzo Malipiero, in piazza san Marco, con The Garden of Delight di Mladen Miljanovic. E’ ora di salpare verso l’isola di san Servolo: qui c’è la collettiva araba-siriana e pure un pezzetto di Kenya (new entry). Rientro: sosta al padiglione dell’Utopia e dell’emergenza, l’ha messo su l’attivista e artista peruviano Jota Castro e fra gli espositori c’è anche Teresa Margolles con le sue inquietanti installazioni fra vita e morte. Ultima fermata per oggi: Querini Stampalia e l’artista cinese Qiu Zhijie. Il curatore della Biennale di Shanghai presenta una selezione di opere inedite con cui esplora le dinamiche complesse che tracciano gli itinerari spaziali e temporali tra Occidente ed Oriente, tra passato e presente. La mostra, a cura di Chiara Bertola e Davide Quadrio, è la prima tappa di New Roads, un progetto triennale di collaborazione internazionale tra Cina e Italia,

Siete stanchi? Uno sforzo ancora. Destinazione, Scuola di san Pasquale, in Campo san Francesco. Ecco Angel Marcos, spagnolo con la sua Intimate Subversion. L’artista fin dagli anni 9 ha condotto la sua ricerca che lo ha portato a fotografare comunità, quartieri, nuclei urbani. I quartieri qui indagati sono quelli di Medica del Campo, le periferie abitate dal proletariato.

Il giorno dopo. Siete ancora a Venezia? E’ ora di fare un giro più mainstream. Si va da Palazzo Ducale (come saltare Manet?) e si finisce dritti dritti fra le braccia di due guest star: Marc Quinn alla Fondazione Cini (isola di San Giorgio Maggiore) e Roy Lichtenstein (non lui perché non c’è più, ma le sue sculture). Il primo, in una personale a cura di Germano Celant esporrà circa cinquanta opere di cui tredici inedite. “Un viaggio alle origini della vita”, così ha descritto il suo lavoro Quinn. In effetti, vedremo feti sbozzati nel marmo e sette colossali conchiglie della serie The Archaeology of Art. Infine sarà possibile vedere la grande opera Alison Lapper Pregnant (2005), installata dal settembre 2005 su una della basi al centro della londinese Trafalgar Square. L’altro “ospite”, un gigante della Pop americana, è Lichtenstein: la Fondazione Vedova propone, presso i Magazzini del Sale, le le sue opere scultoree, 45 lavori realizzate fra il 1965 e il 1997 (anno della morte).

C’è ancor molto di più. Ma forse è il caso di non farsi venire le convulsioni o la sindrome di Stendhal. Consiglio spassionato: dopo l’abbuffata di arte contemporanea, prima di ripartire, una pausa alla Scuola di san Rocco. E salutate Venezia con gli occhi pieni di Tintoretto.