Osannato come salvatore dell’euro, applaudito a più riprese da quasi tutti i media, il presidente della Bce ha ancora una volta prolungato il periodo di immissione di liquidità nel sistema creditizio europeo ed abbassato il tasso d’interesse (che era già negativo!) per le banche che lasciano i loro denari presso la Bce.

In altre parole, Draghi continuerà ad acquistare titoli pubblici, per un valore di 60 miliardi al mese, ed immettere questa liquidità nella circolazione monetaria europea fino al marzo del 2017. Obiettivo dichiarato: far riprendere la crescita e portare l’inflazione ad un tasso ottimale del 2%.

Come ha fatto notare Alfonso Gianni in più di un intervento su questo giornale, far girare più denaro nel circuito bancario non significa far ripartire gli investimenti, e quindi la crescita economica e l’occupazione. L’ostinazione di Draghi nel seguire questa strada ha dell’incredibile.

Draghi sembra schierarsi dalla parte della teoria quantitativa della moneta, quella per intenderci della famosa equazione MV = PT, dove M è la quantità di moneta in circolazione, V è la velocità di circolazione della moneta nell’unità di tempo, P è il livello dei prezzi e T il numero di scambi/transazioni monetarie. Siccome V e T rimangono costanti nel breve periodo, se immettiamo più moneta in circolazione aumenterà il livello dei prezzi. Semplice. Ed allora perché l’auspicata ripresa dell’inflazione, o meglio l’uscita dalla deflazione non si è verificata?

Con una quantità enorme di denaro che la Bce riversa ogni mese sul mercato creditizio avremmo dovuto aspettarci una iperinflazione, altro che il 2%!

D’altra parte, negli anni ’70 quando l’inflazione era additata come il problema più grave per l’economia occidentale, fu il taglio della spesa pubblica, dei salari e la stretta creditizia che la fecero crollare. Ed allora, che succede adesso?

Bisogna riprendere in mano Keynes, che la scuola monetarista di Milton Friedman ha disprezzato, per capire che possiamo immettere fiumi di denaro per far ripartire l’economia, ma se questo flusso monetario finisce nella speculazione finanziaria non succederà niente nell’economia reale. Il fenomeno non riguarda solo l’Europa ma l’insieme dei paesi Ocse. Secondo una stima di Standard & Poor’s i maggiori gruppi industriali a livello mondiale hanno nei loro bilanci una liquidità di 4.400 miliardi di dollari che usano in gran parte per operazioni finanziarie (soprattutto attraverso la pratica del buy-back, cioè di acquisto delle proprie azioni per far salire il valore in Borsa). A loro volta le grandi banche sono state ricapitalizzate, grazie al sostegno finanziario dei governi, dopo la batosta del 2007/08 ed annegano oggi anche loro in un mare di liquidità.

Le banche europee certamente sono state scoraggiate a lasciare i loro depositi presso la Bce, ma nessuno le obbliga a prestare denaro alle piccole e medie imprese e famiglie che ne avrebbero bisogno, ma sono soggetti ad alto rischio di insolvenza.

Di contro investimenti finanziari nelle Borse di tutto il mondo sono molto più sicuri e redditizi. Ed i risultati si vedono: i valori azionari delle Borse occidentali hanno continuato a crescere ancora nel 2015, compresa Piazza Affari che ha fatto registrare un nuovo record con un +14 per cento. In breve: grandi imprese e istituti di credito navigano su un mare di liquidità monetaria che investono nel mondo della finanza, mentre consumatori e piccole e medie imprese sopravvivono appena quando non falliscono.

Ci sarebbe un solo modo per raggiungere gli obiettivi che si prefigge il presidente della Bce. Avere un reddito di cittadinanza a livello europeo ed un piano di risanamento ambientale, di riduzione della CO2, di riconversione dell’economia.

Soprattutto, affrontare la questione cruciale della redistribuzione del reddito, del lavoro, del capitale. Perché non avviene, lo sappiamo. La distopia di Draghi consiste nel fatto che pretende di far ripartire l’economia mantenendo l’attuale assetto sociale, i rapporti di forza tra i soggetti economici, la subalternità dell’economia alla finanza. Dentro questo quadro la continua immissione di liquidità rischia di produrre, nel medio periodo, un effetto catastrofico: una nuova bolla finanziaria di dimensioni mai viste.

Se questo avverrà, il Q.E. (Quantitative Easing) rischia di venire ricordato nella storia come il Quantitative Evil, per la grande quantità di male che avrà provocato.