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Democratici Usa: il rifiuto di un fallimento storico

Democratici Usa: il rifiuto di un fallimento storico

American Psycho L’establishment del partito rifiuta però di ammettere il proprio fallimento storico (presidenza, Congresso e Corte suprema contemporaneamente in mano ai repubblicani) ed è riuscito a imporre il proprio candidato alla guida del Comitato nazionale, la struttura che gestisce l’organizzazione tra una campagna elettorale e l'altra

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 3 marzo 2017

Da Washington a Londra, da Parigi a Roma, le forze di centrosinistra sono sempre più divise, lontane dal governo e senza idee. La malattia colpisce sia i partiti dove ha prevalso la linea Clinton-Blair-Hollande che quelli dove la sinistra ha imposto una nuova leadership.

Come i laburisti inglesi con Jeremy Corbyn. Il Pd italiano, incapace di scegliere, si è spaccato.

Negli Usa, i Democratici sono ancora sotto choc dopo la vittoria di Trump e le uniche reazioni contro il rullo compressore autoritario e xenofobo sono venute dalle mobilitazioni spontanee: i deputati e i senatori repubblicani vengono assediati dalle proteste contro il progetto di lasciare milioni di americani senza copertura sanitaria e di espellere altri milioni perché «clandestini».

L’establishment del partito rifiuta però di ammettere il proprio fallimento storico (presidenza, Congresso e Corte suprema contemporaneamente in mano ai repubblicani) ed è riuscito a imporre il proprio candidato alla guida del Comitato nazionale, la struttura che gestisce l’organizzazione tra una campagna elettorale e l’altra.

Il nuovo presidente del Dnc è Tom Perez, ex segretario al Lavoro nell’amministrazione Obama, che ha prevalso di misura (235-200) contro il candidato della sinistra Keith Ellison. In Francia, il fallimento storico della presidenza Hollande, il peggior presidente dal 1958 ad oggi, ha trascinato con sé il suo primo ministro Manuel Valls, distaccato nelle primarie per la candidatura alle elezioni tra qualche settimana dall’ex ministro Benoît Hamon. Sarà dunque un candidato della «sinistra» del partito a correre per la presidenza, senza peraltro avere alcuna possibilità: al ballottaggio arriveranno probabilmente il centrista, ex banchiere, Emmanuel Macron e il leader del Front National, Marine Le Pen. Per la prima volta nella storia della Quinta repubblica nessuno dei due raggruppamenti storici (gollisti-liberali da una parte e socialisti dall’altra) sarà presente al ballottaggio, come del resto è avvenuto in Austria, dove socialisti e popolari hanno dovuto cedere il passo a verdi e neonazisti.

In Gran Bretagna, Jeremy Corbyn ha vinto per due volte le elezioni a segretario del partito laburista, ma alla sua larga maggioranza tra i militanti non corrisponde alcuna presa sul gruppo parlamentare, che al contrario gli è in maggioranza ostile. Se i nostalgici di Tony Blair non si rendono conto di quanto l’ex primo ministro sia impopolare, Corbyn finora non sembra aver trovato una piattaforma convincente su cui contrastare i conservatori, in particolare dopo il voto a sorpresa per uscire dall’Ue. Delle vicende italiane si sa: Matteo Renzi voleva fare il Bill Clinton o il Tony Blair italiano, senza rendersi conto che si tratta di esperienze di 25 anni fa, un’epoca ormai lontanissima, se non altro perché precedente ai due avvenimenti chiave dell’ultimo quarto di secolo: l’11 settembre e la crisi finanziaria del 2008. Terrorismo, immigrazione, paura del futuro, risentimento nei confronti delle élite sono le forze che hanno dominato la politica recente nei paesi industrializzati.

Queste forze hanno un’origine comune nella stagnazione dei salari e nell’aumento vertiginoso della disuguaglianza, che ha gettato la maggioranza dei cittadini, negli Usa come in Italia, nell’incertezza sul proprio futuro, nell’angoscia per una condizione esistenziale percepita come precaria anche quando non lo è. La sensazione di non poter decidere nulla, di essere in balia di istituzioni senza volto, di non poter avere fiducia in nessuno, men che meno nei politici, è poi l’ingrediente che ha fatto esplodere la miscela combustibile producendo Trump, la Brexit, l’ascesa dei Cinque Stelle, la possibile vittoria di Marine Le Pen in Francia e di Geert Wilders (un altro leader xenofobo) in Olanda.

In questo quadro, i partiti di centrosinistra mostrano di essere a encefalogramma piatto: non hanno gli strumenti per governare (a causa dell’indebolimento degli stati nazionali), né idee per uscire dalla crisi. In questo, purtroppo, anche le loro correnti di sinistra (interne o esterne che siano) hanno finora mostrato scarsa capacità di trovare leader e programmi validi. La traversata del deserto rischia di essere lunga.

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