Da Ravenna a Modena scorre sotto le ruote dei ciclisti, liscia come un biliardo (si attraversa del resto la patria delle boccette), la via Emilia. Si affaccia il primo sole della primavera e c’è tempo per pensare. Pensa Viviani a come imbiffare finalmente la volata giusta; pensano Nibali e gli altri inseguitori a come ribaltare il Giro; pensa Roglic a come amministrare il distacco su di loro, quello già messo in saccoccia e quello su cui può fare affidamento contando l’ultima crono di Verona; pensa Conti a godersi la maglia rosa sulle spalle prima che arrivi a spogliarlo la gravità delle salite grandi.

Pensa a voce alta ai destini di questa Emilia che fu rossa Fausto Anderlini, sociologo, erede e custode di una lunga storia. Una storia lunga di acculturazione politica che ha accompagnato la generazione del conflitto bracciantile, quella dell’inurbamento del contado e poi quella del ceto medio riflessivo, figlio delle conquiste del Welfare State. Una storia lunga che un po’ è anche romanzo familiare, e Fausto ne descrive l’epopea costitutiva e solidale, ed «il lascito succinto»: «La famiglia si riproduceva e trovava protezione nel rapporto col Partito, l’azienda e il sindacato.

Vita privata, condominio, quartiere, azienda erano elementi costitutivi di uno Stato la cui sede era il Comune. Per un lungo periodo, sicuramente dai ‘50 e fin oltre gli ‘80, io sono vissuto nel socialismo. Bologna era una città socialista costituita da operai inurbati d’estrazione rurale alloggiati in affitto e organizzati nel Pci, cioè socializzati in quel distinto modo di vita. Il tratto specifico di quella società, la premura che l’animava, era che nessuno, nel momento del bisogno, sarebbe stato lasciato solo».

Poi la rotta avvenuta col renzismo, coi figli baldanzosi del provincialismo democristiano che «vendicano la mediocrità dei padri e del loro sottobosco», per una stagione subalterno in quel mondo che fu rosso. «Mentre noi, conclude Fausto, figli della storia grande, ci si afflosciava». E infine la vandea leghista a far piazza pulita di quelle magnifiche sorti e progressive.

Neppure entrando dentro Modena si lascia la via Emilia, ché un suo ramo imboccato dai corridori li porta dritti sul traguardo. Ai meno 800 un capitombolo spacca il gruppo. La peggio va a Ackermann, out per la volata, e a contendersi l’arrivo di giornata rimangono tre trenini di squadre dei velocisti. Mentre al centro della strada si becchettano, come i polli di Renzo, Ewan e Viviani, Démare si butta solo soletto sulla destra e indisturbato trionfa a braccia alzate.