Siamo realisti, per cambiare la legge elettorale aspettiamo l’esito del referendum (e delle regionali), «Mi fido dei partiti di maggioranza, diamogli tempo, convochiamo già il prossimo incontro a settembre», propone Andrea Marcucci. Così il presidente dei senatori Pd smentisce la linea del segretario Nicola Zingaretti, che da giorni ripete di volere un voto sulla legge proporzionale prima del referendum sul taglio dei parlamentari. Smentisce anche l’altro capogruppo, Graziano Delrio, che proprio ieri mattina (a Repubblica) spiegava che «anche se strettissimi i tempi per votare la legge elettorale alla camera prima del referendum ci sono ancora».

L’uscita di Marcucci è anche un tentativo di uscire dal vicolo cieco in cui il segretario ha infilato il Pd, dopo aver approvato nell’ultimo passaggio il taglio dei parlamentari e aver deciso solo adesso di denunciare i rischi della riforma. La logica conclusione di questi allarmi tardivi, quando tra sette settimane Zingaretti si troverà di fronte a un nuovo assetto istituzionale che lui stesso definisce «pericoloso» e ad alleati che non hanno mantenuto il patto di approvare quelli che i dem considerano i «contrappesi» della riforma, dovrebbe essere quello di votare no al taglio dei parlamentari. O di nascondere il Pd in una poco onorevole libertà di coscienza. Anche per evitare questo, Marcucci si rivolge ai suoi: «Sono sicuro che l’impegno a fare una legge elettorale proporzionale, per ridurre le storture della riduzione dei parlamentari sarà mantenuto». E siccome la «fiducia» negli alleati evidentemente non basta, aggiunge: «Dopo il 21 settembre potremmo avere la sorpresa di avere consensi sul proporzionale anche oltre la maggioranza». Non è una sorpresa, ma il senso dei ripetuti segnali arrivati da Forza Italia: prima delle regionali non può smarcarsi dalla Lega, ma sul proporzionale ci sta eccome.

A contro-smentire Marcucci pensa il vice capogruppo Pd alla camera Michele Bordo, che insiste nel definire «fondamentale» l’approvazione della nuova legge elettorale «almeno in un ramo del parlamento» entro il 20 settembre. La gestione del dossier referendum sta rovinando l’estate del Pd. Un numero crescente di parlamentari confessa di non capire la strategia del segretario, che enfatizzando i rischi di una – assai probabile – approvazione definitiva della riforma senza una legge elettorale (che oltretutto, essendo una legge ordinaria, non si presta tanto a essere brandita come rimedio al vulnus costituzionale) non fa che aggravare la portata della prevedibile sconfitta dem. Arrivano al pettine i nodi del 2019, quando il Pd firmò ai 5 Stelle la cambiale in bianco della riforma anti parlamentare, ripiegando poi su alcuni correttivi in tutta evidenza non sufficienti a compensare i guasti del taglio dei parlamentari – e oltretutto solo promessi. Come l’equiparazione della base elettorale del senato a quella della camera, che gode di maggiore consenso rispetto alla riforma elettorale e pur essendo una modifica costituzionale potrebbe fare da qui al 20 settembre quel passetto in avanti che auspica il Pd. Un passetto di un percorso molto lungo.

E così il Pd che non si è opposto alla pretesa grillina di accoppiare referendum, regionali e amministrative negli election days di settembre, sarebbe adesso sollevato se la Corte costituzionale dovesse accogliere la richiesta di sospensiva che è contenuta in tutti e quattro i ricorsi sul referendum che esaminerà il 12 agosto. Ma anche se la Corte dovesse giudicare solo ammissibili i ricorsi (non è da escludere almeno per quello del comitato del no e per quello della Basilicata) prudenza vorrebbe che il governo – che oltretutto ha confermato lo stato di emergenza – rinviasse il referendum sub iudice (lo ha già fatto e può rifarlo, scegliendo una data fino al 22 novembre).

Cresce nel frattempo anche il numero dei democratici che si espongono apertamente per il no al referendum (in assenza di riforma elettorale). Ieri il senatore Verducci si è attestato sulla linea già indicata dal capo corrente Orfini: «Senza l’approvazione di una legge proporzionale che garantisca rappresentanza e pluralismo penso sia un dovere votare no». Verducci fa parte di un gruppo di senatori Pd che avevano firmato in un primo momento la richiesta di referendum costituzionale contro il taglio dei parlamentari, ma poi l’avevano ritirata. Altri, come Nannicini, Rojc e Pittella l’hanno mantenuta e fanno parte di quel comitato del no che ieri è stato ricevuto dalla presidente del senato e poi dal presidente della camera. Casellati e Fico non l’hanno promesso, ma potrebbero fare un appello a che sia garantita almeno un po’ di informazione sul referendum, già annegato nella campagna per le regionali. Oltretutto il governo aveva accolto un ordine del giorno del deputato Riccardo Magi (+Europa), impegnandosi a far arrivare un opuscolo informativo nelle case degli italiani.