Il delta del Po è un posto magnifico e martoriato. Non solo dalla natura che di tanto in tanto ci mette del suo nel creare problemi, quanto dagli uomini che mentre il fiume si frantuma in millanta direzioni prima di raggiungere il mare, cercano ogni pretesto per litigare tra loro. Anche aspramente. Vannucci, regista del film Delta, presentato in piazza Grande in occasione del festival di Locarno, essendo bolognese e volendo ancorare il racconto a elementi reali, ha trascorso un lungo periodo in quei luoghi. E per dare maggior risalto all’autenticità del contesto ha utilizzato anche immagini di repertorio molto suggestive che si integrano con la sua raffinata rappresentazione dei luoghi.
Anche la storia è mutuata dalla realtà. C’è stato un momento in cui erano arrivati pescatori rumeni, ormai impossibilitati a svolgere il proprio lavoro sul delta danubiano. E i loro metodi, piuttosto spicci e spesso illegali, andavano a confliggere con le esigenze dei pescatori locali. I quali oltretutto si sono trovati a doversi confrontare anche con le fabbriche inquinanti.

PER QUESTO entrano in gioco associazioni ecologiche e carabinieri poco propensi a prendere qualsiasi iniziativa, finché lo scontro diventa personale. Perché tra i rumeni c’è Elia, italiano, originario della zona, incattivito con il mondo e dall’altra parte c’è un personaggio che non vorrebbe entrare in questa brutta storia, ma alla fine non può esimersi, non esiste neutralità. Lo sviluppo della vicenda è davvero interessante, inconsueta per un film italiano e condotta con mano sicura. Poi però sembra prevalere la necessità di fare spettacolo, di esagerare, di andare sopra le righe e l’ottimo thriller diventa un improbabile western, con i due protagonisti sconfitti entrambi dalla vita, perché non esiste in questo caso distinzione tra bene e male, che si fronteggiano come se fossimo nel west con un salto logico e temporale difficile da sostenere.

I due antagonisti sono l’italo-rumeno Alessandro Borghi che aggiunge un ulteriore prova sanguigna al suo curriculum, e Luigi Lo Cascio chiamato invece a usare un accento stravagante, lontano da quello delle sue origini, che un po’ ne limita l’interpretazione per il resto davvero puntuale. Vannucci firma un’opera che tocca corde leggere ma profonde e il suo film poteva essere di grande rilievo, poi, forse malconsigliato, punta sull’entertainment di maniera e lì incespica.