Da una parte la notizia di un nuovo incontro tecnico previsto domani; dall’altra l’ormai sempre più forte pressione di Giorgetti per evitare un decreto. La battaglia sulle delocalizzazioni divide il governo mentre i lavoratori della Gkn rilanciano il loro piano in otto punti scritto assieme ai Giuristi democratici per evitare realmente le delocalizzazioni.

IERI È STATO IL MINISTRO Andrea Orlando ad annunciare il nuovo incontro con il Mise per lunedì. «Nessuno pensa che si possa impedire ad una impresa di chiudere con un decreto – ha dichiarato – però l’esigenza di imporre dei percorsi che consentano ripensamenti di quella scelta è un altro paio di maniche. Se quella scelta rimane, allora bisogna contenere quanto più possibile il danno. Non vedo niente di punitivo per le imprese, vedo una logica di responsabilità sociale», è la premessa: «Bisogna – ha continuato Orlando – contrastare comportamenti inaccettabili.

Lunedì ci sarà una riunione col Mise. È una norma che va scritta a più mani» e come «lo discuteremo nelle prossime giornate, sarà una cosa piuttosto rapida», ha concluso. Orlando dunque – come la stessa viceministra Mise Alesssandra Todde del M5s che aveva annunciato il provvedimento – spinge per un decreto. Ma il fatto che non usi apertamente questo termine è la spia della mancanza di certezza che alla fine il governo adotterà un provvedimento di urgenza, subito applicabile nelle crisi già aperte, a partire proprio da Gkn.

Da settimane infatti Il Sole24Ore ad esempio utilizza l’acronimo «pdl» per la «norma delocalizzazioni: un «progetto di legge» governativo che dunque sarebbe buono solo per il futuro, lasciando mani libere a Gkn, così come a Gianetti Ruote e a Timken, tutte aziende dell’automotive che hanno annunciato delocalizzazioni.

LE PRESSIONI DELLA LEGA e delle altre componenti di destra del governo – anche Forza Italia ha un viceministro al Mise,Gilberto Pichetto Fratin, schierato apertamente contro il decreto – sfruttano la vulgata aizzata da Carlo Bonomi che vuole come la norma antidelocalizzazioni sia «anti imprese» – «punitiva e che aprirebbe allo spostamento in Spagna di tutte queste aziende» – per chiedere a Draghi di depotenziarla e renderla un semplice disegno di legge da discutere con calma in parlamento.

Di tutt’altro avviso sono i lavoratori della Gkn che con il loro collettivo di fabbrica chiedevano di poter «scrivere assieme al governo il decreto» e già a fine agosto hanno chiamato un gruppo di giuslavoristi per condividere un testo che realmente blocchi le delocalizzazioni, a partire da quella in Romania decisa dal fondo inglese Melrose.

NEGLI OTTO PUNTI DEL TESTO «Fermiamo le delocalizzazioni», «approvato dall’assemblea permanente Gkn», i Giuristi democratici partono dall’assunto che «l’autorità pubblica deve controllare la reale situazione dell’azienda» che vuole delocalizzare, «al fine di soluzione alternative»: «un Piano che garantisca la continuità produttiva e occupazionale» «approvato dall’autorità pubblica, con il parere vincolante della maggioranza dei lavoratori coinvolti». In alternativa «l’eventuale cessione deve prevedere una prelazione da parte dello Stato e di cooperative di lavoratori».

CITANDO UNA SENTENZA della Corte di Giustizia europea del 2016, la proposta ribadisce come «uno Stato membro sia dotato del potere, in determinate circostanze, di opporsi ai licenziamenti per motivi attinenti alla protezione dei lavoratori e dell’occupazione». Anche per «una ponderata valutazione degli interessi incisi» dalla norma si «ritene necessaria e immediata una sospensione da parte del governo delle procedure di licenziamento a oggi avviate dalle imprese».
Dal governo, al momento, nessun riscontro.