Potrebbe sembrare una premonizione di quanto sarebbe accaduto quel 2 novembre per l’ansia di tagliare i ponti con le nuove generazioni, con progetti a venire, con la fine della storia, con le affermazioni apodittiche e senza possibilità di replica, giudizi senza appello sulla nuova società. Tutto quanto è stato invece ricostruito da Giuseppe Bertolucci con il suo tocco poetico inflessibile in Pasolini prossimo nostro solo nel 2006, facendo sedimentare rabbia e problematiche di un evento oscuro.

Trent’anni dopo l’assassinio il prezioso materiale di almeno cinquanta ore di interviste rilasciate a Gideon Bachman e di fotografie di scena di Deborah Imogen Beer e Gideon Bachman sul set di Salò hanno costituito una sorta di lettera postuma, di testamento, di film saggio, di invettiva. È crescente infatti il tono di Pasolini nell’esprimere le ragioni del film ispirato a Dante e alla trasposizione di de Sade nel ’44 dove una struttura organizzata per gironi si sviluppa sul tema dell’anarchia del potere, una metafora del potere nei confronti dei sottoposti, la rappresentazione della cerimonia nazista nella sua macabra ritualità. «Un film esclusivamente sadomaso» metafora di ciò che il potere fa del corpo umano, la mercificazione come l’abbiamo studiata in Marx resa visibile su grande schermo.

Alla serafica atmosfera del set con le ruspanti maestranze romane («spegni qua se no se brucia tutto») si contrappone la ferocia delle immagini, quelle foto di scena che riprendono anche le parti mai montate nel film. Un incipit fortemente allusivo, che ci riporta alle periferie luogo privilegiato di osservazione sui mali del mondo, l’ attacco ai giovani omologati, incapaci di comprendere il passato, quella gioventù «odiosa» della società industriale per cui, dichiara, non avrebbe mai più fatto film (la stessa gioventù che lo cacciava dalle assemblee dell’Università insieme a Moravia, come collaboratore del giornale della borghesia, il «Corriere della Sera»). Ed è agghiacciante sentire quella frase «non farò mai film per quei giovani». Né per i giovani, né per nessun altro, come una cupa intuizione.

Il documentario è da rivedere per il condensato del pensiero pasoliniano che contiene, alzando i toni, lanciando ancora premonizioni (come l’esplorazione dell’antiecologia, delle sofisticazioni alimentari, impossibile da affrontare per il tempo che occorrerebbe impiegare. «Mi mancherebbe il tempo», dice. Il film, proiettato raramente, è in programma al Festival del Cinema europeo di Lecce, disponibile on demand su Chili tv dal 2 novembre.