«Non è la storia di uno scippo», dice all’ora di pranzo il capo della polizia Franco Gabrielli a proposito dell’uccisione del 24enne Luca Sacchi. Le sue parole mettono il bollino sul plot twist, il colpo di scena che cambia le carte in tavola e scombina i ruoli che erano stati cuciti addosso ai protagonisti della storiaccia avvenuta nella serata di mercoledì nel quartiere romano di Colli Albani. Qui dietro c’è il grande parco della Caffarella, quel pezzo di agro romano che arriva fino alle porte del centro storico dove ci sono le grotte che fino ai primi anni Ottanta le giovani leve delle Brigate rosse utilizzavano per esercitarsi con le armi.

Questa una volta era zona contesa politicamente, con l’Alberone di sinistra da una parte e i neofascisti di Acca Larentia dall’altra. Da anni avanza l’estrema destra. Da queste parti ha cominciato la sua ascesa Fabrizio Piscitelli, il Diabolik ultrà della Lazio e trafficante di droga che lungo l’asse della Caffarella, al parco degli Acquedotti, è stato freddato su una panchina l’estate scorsa.

Uno dei due arrestati per l’omicidio di Luca Sacchi

SACCHI È MORTO dopo ore di agonia, anche lui ammazzato da un colpo di pistola alla testa. Ma non sembrerebbe un agguato. Si parla di tentato scippo ai danni della sua fidanzata, del tentativo del giovane personal trainer di difenderla e della reazione spietata dei due rapinatori. Dall’alba di ieri si trovano in stato di fermo, sospettati dell’aggressione, due ragazzi del quartiere popolare di San Basilio, nella periferia nordorientale della capitale. Si chiamano Valerio Del Grosso e Paolo Pirino. A sparare sarebbe stato il primo. Proprio sua madre, accompagnata dal marito e dall’altro figlio, è andata in commissariato a comunicare i propri sospetti. Due coatti di periferia e il «bravo ragazzo» del quartiere borghese si incrociano per caso o per fare affari poco legali.

Nel frattempo si innesca la polemica politica. La destra e Matteo Salvini descrivono Roma come città fuori controllo. Gabrielli lo smentisce: «Roma non è Gotham city, è una delle metropoli più sicure d’Europa». Per il presidente del consiglio Giuseppe Conte ogni tentativo di «lucrare» politicamente sul caso di cronaca è «miserabile».

Le schermaglie politiche proseguono ma il caso sembra chiuso. Anche se ci sono alcune tessere del mosaico che non si incastrano, a partire dalla dinamica della sparatoria, secondo alcuni da esecuzione più che da piccola rapina. È a questo punto che arrivano le parole di Gabrielli, poliziotto che è solito pesare le parole: «Gli accertamenti che l’autorità giudiziaria disvelerà quando sarà opportuno non ci raccontano la storia di due poveri ragazzi scippati – scandisce il capo della polizia – Lo dico tenendo sempre ben presente, non vorrei essere equivocato su questo, che stiamo parlando della morte di un ragazzo di 24 anni».

LA MORTE DI LUCA Sacchi diventa l’ennesimo caso di cronaca nera romana destinato a segnare il dibattito pubblico, l’ennesimo omicidio chiamato a rappresentare un passaggio di fase nella storia recente irraccontabile di questa città, l’ultimo fattaccio la cui narrazione entra in crisi nel giro di poche ore, non regge alla prova dei fatti e resta sospesa in attesa di chiarimenti, ingiallisce a tempo di record la carta delle cronache locali, demolisce ruoli consolidati e stereotipi narrativi.

Perché la storia degli ultimi anni di Roma, per certi versi, è storia di fatti di cronaca nera. Potremmo cominciare dall’orribile omicidio di Giovanna Reggiani, nel 2007. Era un fine ottobre anche allora e la donna di 47 venne violentata e massacrata mentre percorreva una stradina nei pressi di una baraccopoli a Tor di Quinto. Anche qui si evocò di un rapporto non risolto tra cento e periferia, di una slum ai piedi dei palazzi di quartieri borghesi di Roma Nord. Il sindaco di allora, Walter Veltroni, si preparava a condurre il Pd verso la vocazione maggioritaria ed invocò la tolleranza zero con i campi rom. Non si accorse che anche allora c’era stata la testimonianza inattesa, che l’assassino di Reggiani, Romulus Nicolae Mailat, era stato scoperto grazie alla denuncia di una donna rom. Fu l’inizio dell’«emergenza sicurezza», questione che – disse Veltroni battezzando un’espressione che avrebbe avuto fortuna negli anni a venire – «non è né di destra né di sinistra». Alle elezioni comunali successive vinse facile il postfascista Gianni Alemanno.

LA STORIA DELL’OMICIDIO di Luca Varani rivelò una città che non ha più punti cardinali e che correva lungo la linea fatta di strisce di cocaina che uniscono il centro degli aperitivi e la periferia sterminata, tra Monti e il Collatino. Era la notte del 3 marzo 2016 quando Manuel Foffo e Marco Prato uccisero Varani senza motivo, dopo averlo torturato e dopo ore passate a bere e consumare cocaina. Due anni prima, era una calda serata di fine settembre 2014, un ragazzino minorenne aveva ucciso a calci il giovane pakistano Shahzad Khan, nel quartiere multietnico di Tor Pignattara. Per quell’omicidio ha pagato il padre del minorenne, accusato di aver istigato a colpire il migrante. Si tratta dell’unica vittima in un quartiere più volte messo sotto i riflettori dell’«emergenza terrorismo», considerato «a rischio». Un quartiere attraversato dalla violenza ciclica e seriale dei banglatour organizzati dai giovani annoiati che dalle zone borghesi di Roma arrivavano fino a quelle popolari, attraversate dai migranti bengalesi, per pestarne uno in una specie di rito iniziatico.

Da qui si arriva all’anno scorso, alla tragica morte di Desirée Mariottini, sedicenne stuprata e lasciata morire di overdose in un cantiere abbandonato ai margini della movida di San Lorenzo. Per quella morte sono stati rinviati a giudizio due senegalesi, un nigeriano e un ghanese. Questa storia si inscrisse dentro i conflitti di un quartiere storicamente «rosso» minacciato dal traffico di droghe (gestito da italiani) e dalla speculazione che seppe respingere ogni strumentalizzazione xenofoba. Arrivò anche Matteo Salvini, ancora ministro dell’Interno, a mettere la bandierina nel punto in cui venne trovato il cadavere della giovane donna. Quella storia fece capire che a Roma non esistono più zone franche, che nella città implosa nulla può darsi più scontato. Neanche nel centro storico colonizzato dai turisti.

DI QUESTO RACCONTA la morte del carabiniere Mario Cerciello Rega, ucciso alle prime ore dello scorso 26 luglio mentre, si disse, cercava di recuperare il maltolto ad un intermediario di un pusher di Trastevere. Anche in questo caso dapprima si disse che si era trattato di una semplice rapina finita in tragedia, ci furono tweet scomposti di carabinieri e uomini politici di primo piano. Venne fuori che erano stati alcuni «nordafricani», poi si scoprì che si trattava di ragazzotti statunitensi in vacanza e la storia cominciò a fare acqua da tutte le parti, ed è ancora in attesa di essere chiarita, anche se ormai la macchina organizzativa e propagandistica dei funerali di Stato in diretta televisiva nazionale era già sbarcata a Somma Vesuviana, paese di origine del malcapitato vicebrigadiere.

Poi la tragica fine di Luca Sacchi. Casi di cronaca che rompono i canoni giornalistici ed eccedono le narrazioni di genere. Spie di una città irraccontabile, priva da tempo di una trama comune in grado di spiegarla.