Ha scritto in un suo articolo Natalia Ginzburg che lei, finché era vivo, di Antonio Delfini non aveva mai letto nemmeno una riga. Pensava che fosse «uno scrittore noioso e futile» e anzi già i titoli dei suoi libri le sembravano «l’espressione stessa della futilità e della noia». Anche pensava che i suoi libri avessero a che fare con una delle cose che più odiava al mondo, la «prosa d’arte». Era un’idea, ci sembra di capire, attecchita nella sua mente per vie misteriose e cresciuta con robuste radici. Un giorno apre a caso un volume uscito postumo da Garzanti che...