«La razionalità, secondo Freud, non ha niente di naturale. Essa è una dura e precaria conquista; lo è innanzi tutto nella sua genesi attraverso l’infanzia dell’individuo, ma anche nel suo mantenimento attraverso ciascun momento della vita individuale, e così nelle sue affermazioni culturali collettive attraverso la storia dell’umanità». Così cominciava uno fra i lavori più noti di Francesco Orlando, Illuminismo e retorica freudiana (1982), entro il quale il percorso della ragione occidentale era contraddittoriamente tratteggiato come un cammino «faticoso, repressivo», costellato di «aberrazioni»; e insieme, d’altra parte, come un inevitabile «progresso», sia pure pagato dalla civiltà in termini di repressione. In questo quadro, la letteratura viene a essere un alleato fondamentale per indagare la parabola di quella stessa civiltà, una “seconda vista” raffinata e confidenziale, capace di scrutare gli angoli marginali del vivere sociale, di raccontare le frustrazioni e le speranze, il senso del proibito, il dolore e l’aspirazione alla gioia disseminati lungo l’intera esistenza degli uomini. Sono già tutte qui – in questo identikit della letteratura come proiezione del desiderio – le premesse dell’esercizio critico di Orlando, che intanto al nume tutelare di Freud aveva già dedicato, nel 1973, un libro ambizioso come Per una teoria freudiana della letteratura, a inaugurare un trittico che comprendeva anche una delle sue riuscite forse maggiori, Due letture freudiane: Fedra e il Misantropo, del ’71.

Al racconto del perenne conflitto tra desiderio e realtà, del quale il testo letterario può essere un luogo d’osservazione privilegiato, è implicitamente consacrato, ora, un libro postumo di Orlando – scomparso nel 2010 – Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme, a cura di S. Brugnolo, L. Pellegrini e V. Sturli, prefazione di Thomas Pavel, Einaudi, pp. 190, 23. Bisognerà intanto dire che il volume è una notizia – e in certo modo anche una scommessa – per i lettori più affezionati di questo grande interprete della modernità letteraria. I curatori ci informano, nelle pagine introduttive, che il lavoro – frutto di «un’indagine condotta sull’arco di un ventennio, la cui genesi risale agli anni Ottanta» – è in realtà «il primo inedito» orlandiano ad approdare alla pubblicazione, lasciando così presagire altre future trovate tra le carte – o fra i materiali dispersi – di Orlando. E una scommessa, si diceva: perché il testo non è stato licenziato dal suo autore, ma è invece il risultato di una serie di lezioni che risalgono soprattutto al 2005-2006 (l’anno del suo ultimo corso universitario, a Pisa). È nota l’acribia con cui Orlando rielaborava le sue pagine, in una sorta di fobia dell’imperfezione. Ma è forte anche il ricordo del suo inconfondibile stile oratorio: ecco dunque un libro «probabilmente diverso dal solito», come si legge nella stessa introduzione, che permetterà di entrare più da vicino nell’officina dello studioso, attraverso il cantiere privilegiato – pur soltanto intravisto, perché il lavoro dei curatori è impeccabile – della lezione universitaria.

Orlando insegue le apparizioni del soprannaturale letterario, incaricandosi di disegnare un arco che va dal Medioevo di Rutebeuf al Novecento di Kafka (non senza qualche puntata all’indietro, verso l’antichità, purtroppo soltanto sfiorata, ma non senza che riemergano, qua e là, almeno i nomi di Omero, Luciano e Ovidio), in un sostanziale nomadismo letterario, senza confini geografici, che può dunque spingersi dall’Inghilterra di Shakespeare all’Italia del poema cavalleresco, dalla Francia di Voltaire alla Germania di Goethe (e così l’Orlando francesista ci ricorda ancora una volta, per inciso, che comparatistica non vuol dire abolizione delle letterature nazionali, ma loro capillare assunzione e conoscenza, e in certo senso loro custodia). L’autore tenta di rispondere, sostanzialmente, a questa domanda: come reagisce il Testo di fronte all’irrazionale? Come lo rappresenta? Quali sono le eventuali costanti di una fenomenologia del soprannaturale (dei, mostri, fantasmi, ecc.)? Le proposte di Orlando sono abitate – viene da dire: come sempre – da due istanze ineludibili, o due demoni: quello della tassonomia e quello dell’esempio. I quali collaborano vitalmente, anche a stare al solo titolo del capitolo d’esordio: Minimi esempi in vista di un concetto. È qui che si fissano i primi puntelli teorici, per esempio la necessità – perché si dia soprannaturale letterario – di una serie di regole che permettano di avvertire l’esplosione dell’irrazionale come infrazione, come alterazione persino minima del reale. Oppure, si veda la grande attenzione topologica di Orlando, ovvero per le localizzazioni letterarie: per gli spazi della Commedia o soprattutto della Gerusalemme Liberata, intimamente legati all’apparizione dell’Altro o – più esplicitamente – alla liberazione della «trasgressione» (per cui il luogo appartato e oscuro, diventa, in questa lettura, un correlato dei segreti intimi della psiche tassiana). E più oltre, ecco Orlando fare cenno alle altre due meridiane fondamentali per la sua esplorazione, cioè la Storia, da una parte, e la Tipologia dall’altra. La prima parte del volume si preoccupa infatti, in particolare, delle «variabili cronologiche» del tema. Non si potrà non citare il capitolo dedicato a Cervantes – nel quale il tema della magia è identificato come portante – ma il passaggio più chiaro, in tal senso, è quello imperniato sul Faust, se quest’opera assomiglia all’atto di fondazione di un soprannaturale compiutamente moderno: così, nella scena di una strega che non riesce a riconoscere il diavolo, si può rileggere il soprannaturale goethiano come un segnale di allusione all’accelerazione storica, o diremo forzando un po’: alla tecnicizzazione del mondo (o, con il Lukacs ricordato da Orlando, come allegoria del capitalismo).

Quanto, invece, a uno sforzo diretto alla categorizzazione, questa è consegnata soprattutto alla seconda parte dell’indagine, nella quale si distingue fra l’altro tra un soprannaturale «di tradizione», come quello di Omero o di Dante, esito della «reificazione dell’immaginario collettivo» (e dunque ben piantato su un principio di autorità religioso); e un soprannaturale «di derisione», per il quale bisognerà di nuovo tornare al Chisciotte, o si potrà spingersi, per stare a un solo caso, ai Contes di Voltaire. E si tenta di circoscrivere un soprannaturale «di indulgenza» – testimone principale un Ariosto – categoria intimamente rinascimentale, che certificherebbe un modo di guardare all’evento prodigioso intriso di ironia e insieme di empatia: come se, insomma, utopia e razionalizzazione potessero in qualche modo convivere, per esempio nel Furioso.

È persino ovvio che Freud sia, anche qui, un riferimento importante (basti guardare all’età della Rivoluzione ripensata, nel capitolo faustiano, alla luce del complesso di Edipo). Così come è ovvio che un interlocutore costante sia il Todorov de La letteratura fantastica, dal quale si prendono tuttavia le dovute distanze. Per esempio dal Todorov che definisce il fantastico badando anzitutto a come questo si risolva o razionalizzi nel finale: «Ma se per la maggior parte dell’opera esitiamo e siamo tenuti in sospeso – chiosa Orlando – che cosa importa che nelle ultime pagine ogni incertezza cessi o si razionalizzi del tutto? Il piacere della lettura risiede proprio nel dubbio che si diffonde su tutto il testo». Può darsi che l’ansia categoriale di questo Orlando – come dell’Orlando de Gli oggetti desueti – non sia (più) nostra. Ma è l’invito continuo – e spesso implicito, nobilmente silenzioso – a un irrinunciabile plaisir du texte – a non farcelo sentire distante. Anzi: a farlo risultare ancora più indispensabile.