Sono tutti critici, ma per motivi opposti. Sul Documento di economia e finanza ieri era il giorno delle audizioni delle parti sociali. Se i sindacati chiedono di cambiare strada rilanciando la spesa sociale, Confindustria invece è preoccupata dallo «stallo politico» che rischia di mettere a rischio la crescita. Per il direttore del Centro studi di Confindustria, Andrea Montanino, «rischia di far perdere all’Italia quanto di buono è stato fatto» per la ripresa dell’economia. Per questo «è indispensabile che il nuovo governo abbia un mandato politico chiaro e che sia in grado di agire nel pieno dei suoi poteri». Tra i pericoli indicati dal Csc, quello di «scelte sbagliate» sull’agenda politica dei prossimi mesi che «possono complicare il collocamento dei 400 miliardi in titoli di Stato di cui ogni anno l’Italia necessita per il debito», mentre «è fondamentale mantenere la fiducia dei mercati», soprattutto in vista dell’uscita dal Quantitative easing.

Nell’indicare le priorità del prossimo governo, Confindustria richiama molti dei suggerimenti degli ultimi mesi, dal «disinnesco» delle clausole di salvaguardia – «evitando misure recessive ovvero capaci di pregiudicare la risalita del potenziale di crescita» – mettendo «in sicurezza» le imprese da un aumento dei carichi fiscali. «Ci aspettiamo quasi il 3 per cento in meno di crescita dei consumi delle famiglie; con un impatto non trascurabile sul Pil reale. Ne beneficierebbe però il rapporto tra debito pubblico e Pil, – ha spiegato Montanino – grazie all’aumento del Pil nominale derivante da una traslazione sui prezzi dell’aumento dell’Iva e al maggior gettito fiscale».

Di tutt’altro tono il parere della Cgil. «Un Documento di economia e finanza apparentemente privo di elementi programmatici, un documento tecnico, che si limita alla descrizione dell’evoluzione economico-finanziaria, e che va nella direzione sbagliata». Nella memoria consegnata dalla Confederazione, illustrata dalla segretaria confederale della Cgil Gianna Fracassi, si sottolinea come «il compito che spetta al nuovo esecutivo non è semplicemente di scegliere le politiche che determineranno il nuovo quadro programmatico, bensì di deviare o meno da quel “sentiero stretto” (espressione coniata da Padoan, ndr) di austerità, flessibilità condizionata e svalutazione competitiva perseguito dal 2010 a oggi, che affida la crescita alle sole forze di mercato». Un sentiero che «il governo uscente suggerisce di perseguire con politiche di impronta liberista, senza affrontare il problema dei nodi strutturali del Paese: riduzione povertà e disuguaglianze sociali e territoriali; piena e buona occupazione, rafforzamento della spesa pubblica, lotta all’evasione e sistema fiscale più equo e progressivo, quindi no a flat tax («un ragionamento di riforma fiscale deve essere improntato a criteri di progressività, con una particolare attenzione ai pensionati», attacca Fracassi) e condoni; nuova riforma organica del sistema previdenziale che ripristini flessibilità e dia risposte ai giovani».

Per la Cisl «tutte le criticità che attraversano il Sistema sanitario nazionale, a partire dalla insufficienza delle risorse, dagli investimenti nelle risorse umane, fino alla costruzione di una governance di sistema, rimangono immutate», ha detto il segretario confederale Ignazio Ganga. Anche secondo la Uil «la politica dei condoninon porta da nessuna parte, serve un rafforzamento dell’accertamento».