Era già successo, ma non era andata proprio così. L’approvazione ieri pomeriggio alla camera del decreto legge anti rave con lo strumento della ghigliottina parlamentare non è un inedito, perché c’è l’unico precedente del 29 gennaio 2014 quando l’allora presidente Boldrini fece lo stesso per salvare il decreto Imu-Bankitalia del governo Letta. Ma le condizioni in cui si arrivò a quel voto erano assai diverse da quelle di ieri, rimaste sostanzialmente tranquille. Allora le opposizioni, 5 Stelle e Fratelli d’Italia, avevano bloccato i lavori per giorni, occupato l’aula di Montecitorio e anche i tetti. Allora l’emiciclo si trasformò in un’arena, con il partito di Meloni che tirava monete di cioccolata e anche qualche cazzotto (diversi commessi finirono in infermeria) e lei, l’attuale presidente del Consiglio, che intimava al presidente della Repubblica Napolitano di non firmare la legge di conversione del decreto: «Tradirebbe la Costituzione».

Ieri invece il presidente della camera Fontana ha fatto scattare la ghigliottina – che è uno strumento previsto dal regolamento del senato per la prima lettura dei decreti legge, applicato forzatamente anche alla camera nel 2014 alla seconda e definitiva lettura del decreto Imu – quasi in maniera routinaria. Non ha citato il precedente Boldrini, e nemmeno il discorso del presidente Violante che nel 2000 si limitò a minacciare la ghigliottina (e così fecero Casini nel 2003 e Fini nel 2009), ma nella conferenza dei capigruppo convocata in una pausa della seduta fiume che è andata avanti dal pomeriggio di mercoledì (proprio per stroncare l’ostruzionismo), ha citato invece l’articolo 64 della Costituzione. Quello che stabilisce il principio della maggioranza per la validità delle votazioni delle camere. Non si può impedire, è la tesi di Fontana, una votazione regolare per conoscere se c’è o non c’è una maggioranza favorevole al provvedimento, e dunque se il decreto può essere convertito in legge o deve decadere.

La decisione questa volta non ha provocato sconquassi. Se nel 2014 Boldrini fece la sua mossa alle 18:30 di sera, convocando a quell’ora serale la conferenza dei capigruppo, e portò la sua decisione tra mille proteste in aula che mancavano pochi minuti alle 20 – dunque quattro ore prima della decadenza del decreto fissata allora come ora alla mezzanotte – ieri Fontana ha chiamato i capigruppo alle 14:40. Venti minuti dopo era già tutto finito, votazione finale compresa filata via senza intoppi. Un nuovo precedente, dunque, quasi di routine, e per questo più pericoloso di quello del 2014 (allora Boldrini disse che non sarebbe mai più successo). E infatti nel corso della lunga maratona ostruzionistica il timore di stare così «normalizzando» il ricorso alla la ghigliottina è corso anche tra i gruppi dell’opposizione. Si aggiunga a completare il quadro delle preoccupazioni che questo contro i rave è solo il primo decreto del governo Meloni.

La conclusione di questa battaglia parlamentare, così ordinata e persino con i ringraziamenti dell’opposizione al presidente Fontana durante la conferenza dei capigruppo, lascia però l’impressione che a un certo punto la minoranza si sia accontentata di aver costretto la maggioranza al clamoroso strappo. Indubbiamente, come dice il deputato segretario di Si Fratoianni, «è un segnale di debolezza». Ma non è improbabile che abbia pesato sull’esito anche l’incalzare del capodanno, tant’è che le assenze alla fine non sono state affatto poche, specie a destra. Se nel gruppo di Forza Italia qualche assente (il 40% del gruppo) aveva motivazione politiche – il presidente della prima commissione Pagano lo ha dichiarato – tanti altri hanno semplicemente anticipato il rientro a casa per le feste.

Nei commenti del Pd prevale la critica al contenuto del provvedimento – che com’è noto al senato ha aggiunto norme contro il green pass e per la riduzione dell’isolamento fiduciario al già previsto richiamo in servizio dei medici non vaccinati – su quella alle modalità con cui lo si è votato. «Pur di far approvare le sue norme NoVax – dice Enrico Letta – la maggioranza usa addirittura lo strumento estremo della ghigliottina. Ma quelle norme sono sbagliate». Mentre Riccardo Magi di +Europa nota come con la «giornata buia per la democrazia» di ieri abbia «sancito l’impossibilità che vi sia, anche solo in linea teorica, un decreto non convertito se non per volontà del governo». Due ore e mezzo dopo il voto della camera, il presidente Mattarella ha promulgato la legge di conversione che prima delle nove di sera è comparsa in un’edizione straordinaria della Gazzetta ufficiale. Il caso è chiuso. Le conseguenze le vedremo.