Una retromarcia che ha fatto imbestialire i lavoratori del commercio che da anni lottano per regolare il lavoro festivo. Lunedì sera a Bersaglio Mobile le parole del ministro Luigi Di Maio – «il nostro progetto di modifica individua nell’arco dell’anno 12 giorni festivi, di cui 6 nei quali si lavora solo al 25% su uno specifico territorio» – sono state una doccia gelata per chi già aveva festeggiato la regolamentazione annunciata nei giorni precedenti.
Solo 5 giorni fa una delegazione di lavoratori era stata ricevuta dal sottosegretario al lavoro Claudio Cominardi (M5s) che, sostenendo di parlare anche a nome di Di Maio, aveva presentato un progetto di legge per regolare in modo molto stringente le aperture festive, abrogando gran parte del decreto Monti, la legge che liberalizzò completamente le aperture nel 2011 spostando la pianificazione delle aperture a livello locale. Il testo presentato dall’attuale sottosegretario al Mise Davide Crippa prevedeva che Regione e Comune, sentiti sindacati e consumatori, adottassero un piano per la regolazione dei giorni di apertura con turni a rotazione mai superiori al 25 per cento degli esercizi per ciascun settore merceologico.
Chiaro che le parole di Di Maio invece sconfessino questo progetto di legge. E invece ritornano verso il testo che nella scorsa legislatura era scaturito da un lungo compromesso fra il M5s e il governo: 6 giorni di aperture da scegliere tra i 12 giorni festivi previsti a totale discrezione delle imprese.
«Il ministro del Lavoro sembra non abbia letto né la proposta di legge del suo stesso sottosegretario né tanto meno i giornali di questi giorni. Quanto dichiarato da Di Maio, dopo la speranza che in questi giorni serpeggiava nella categoria, ha provocato una reazione rabbiosa e sdegnata in milioni di uomini e donne impiegati nel commercio», commenta Francesco Iacovone dell’esecutivo nazionale Cobas, il sindacalista che aveva organizzato la mobilitazione ed aveva incontrato Cominardi. «Ora ci spieghino a che gioco stanno giocando – prosegue Iacovone – perché noi non ci faremo di certo prendere in giro dal governo. Cominardi mi ha consegnato una proposta di legge, un atto parlamentare, che va in senso opposto alla blanda dichiarazione di Di Maio che rappresenta pedissequamente la vecchia mediazione con il Pd della scorsa legislatura».
Il ritorno alle sei giornate su 12 viene vissuto dai lavoratori come una vera beffa – «fra l’altro tra questi 12 giorni sono già inclusi Natale, Pasqua e Capodanno quando i negozi sono quasi tutti chiusi», sottolinea Iacovone – e già da lunedì sera i profili social di Di Maio sono stati tempestati di richieste di chiarimenti e rabbia. Senza che né Cominardi né Crippa siano intervenuti per spiegare la loro posizione.
Da parte dei sindacati confederali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs continua ad arrivare la richiesta di un confronto sul tema con il ministro, senza ottenere risposta.
A Iacovone il sottosegretario Cominardi aveva parlato di «modello Modena», la città emiliana che già nel 2012 aveva trovato un accordo fra esercenti e sindacati con una rotazione settimanale per le aperture festive secondo un calendario concordato.